Europa, 22 gennaio 2004

 

di ANTONIO MACCANICO

Nonostante l’irrituale decisione assunta dalle commissioni riunite in via preventiva, è sicuramente legittimo dal punto di vista puramente formale che l’Assemblea decida di limitare la discussione di un disegno di legge rinviato dal presidente della repubblica alle parti che formano oggetto del messaggio. Ciò, nella generalità dei casi, è non solo ammissibile, ma anche utile, in particolare quando si tratta di provvedimenti largamente condivisi.
Ma può la camera fermarsi a questa considerazione, a fronte di un progetto di legge organico, come la Gasparri, che riguarda l’intero sistema televisivo e il principio costituzionale del pluralismo dell’informazione e dei mezzi di comunicazione di massa, in attuazione dell’articolo 21 della Costituzione sul quale vi è stato un duro scontro parlamentare? È politicamente accettabile che venga imboccata questa strada, se il progetto di legge in esame è stato preceduto da un messaggio del presidente della repubblica che ha fatto il punto sulle imponenti carenze ordinamentali in questo campo ed ha indicato, con dovizia d’argomenti, le linee di politica istituzionale indispensabili per garantire il pluralismo e l’imparzialità dell’informazione, defi- nite, nel messaggio stesso, strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta? Quale significato politico ha il procedere in questo modo, se il progetto di legge approvato dal parlamento, dopo il messaggio presidenziale, è stato dal presidente della repubblica rinviato alle camere con pesanti rilievi, che investono il sistema normativo predisposto il quale, anziché correggere i gravi squilibri gravi indicati, li aggrava e li perpetua nel tempo? Come valutare la cocciuta e testarda indisponibilità della maggioranza a riconsiderare un assetto normativo vitale per la nostra democrazia e destinato a regolare per anni l'intero sistema delle comunicazioni, della stampa, quotidiana e periodica, delle radiodiffusioni, al di fuori dall’angusta e cieca determinazione a difendere le posizioni dominanti esistenti, ingigantendo quel conflitto di interesse che è divenuto un dato permanente di minorità della nostra democrazia? Si tratta di un grande tema di natura istituzionale che, ancora una volta, anziché essere terreno di convergenza e di accordo, rimane fattore lacerante nel tessuto dei rapporti politici.
Veniamo al merito della questione. Come detto, il messaggio presidenziale di rinvio colpisce al cuore il progetto di legge; infatti, i rilievi hanno di mira soprattutto le norme sul periodo transitorio, dall'analogico al digitale, quelle sul Sistema integrato di comunicazione, quelle riguardanti la ripartizione delle risorse pubblicitarie, che costituiscono l’architrave sul quale è retta l’architettura del sistema e che sono fortemente interconnesse tra loro. Non si può ragionevolmente pensare che il decreto legge emanato a fine anno che è in fase di conversione, abbia risolto il problema del periodo transitorio, dall'analogico al digitale, e soddisfatto le esigenze indicate dal presidente della repubblica.
Esiste il tema, chiaramente indicato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, del conferimento delle relative frequenze e delle connesse licenze e autorizzazioni agli operatori di rete.
L’articolo 23, comma 5, del progetto di legge in esame prevede che la licenza di operatore di rete sia rilasciata, su domanda, ai soggetti che esercitano legittimamente l’attività televisiva, o sulla base di un generale assentimento.
Questo meccanismo, consentendo agli operatori che dispongono delle frequenze in tecnica analogica di ottenere le licenze e le autorizzazioni per avviare le trasmissioni in tecnica digitale terrestre, rafforza l’attuale assetto dualistico e pregiudica lo sviluppo della tecnica digitale.
Secondo la maggioranza, l’articolo 23 non dovrebbe essere riesaminato, nonostante le considerazioni allarmate dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, perché non sarebbe investito dal messaggio presidenziale.
Quanto al Sic, i pesanti rilievi del presidente della repubblica non sono certo soddisfatti da una piccola riduzione della sterminata area produttiva che ne caratterizza il mercato di riferimento.
Inoltre, la questione della ripartizione delle risorse pubblicitarie, che il presidente ha, con preoccupazione, indicato come uno dei grandi squilibri da risanare, rimane irrisolta, se ci si rifiuta di comprendere nella pubblicità televisiva le telepromozioni.
Aggiungo il capitolo relativo alla Rai e al servizio pubblico televisivo. È di palmare evidenza che le norme riguardanti la Rai confliggono nettamente con i lineamenti di quel pluralismo interno sul quale il messaggio alle camere, inviato dal presidente della repubblica prima della presentazione del disegno di legge in esame, ha fortemente insistito.
L’assetto normativo previsto ribadisce la preponderanza della maggioranza parlamentare e del governo negli organi amministrativi del servizio pubblico televisivo, e contrasta pertanto con l’esigenza di misure sostanzialmente ispirate al principio di parità di accesso delle forze politiche: la Rai continua ad essere l’ente che va in dote ai vincitori delle elezioni.
Come appare chiaro, dunque, l’idea di limitare il riesame solo ad alcuni punti toccati dal messaggio presidenziale - l’esclusione di correzioni in tema di pubblicità è gravissima, anche sotto il profilo regolamentare - è rivelatrice di un’interpretazione restrittiva e minimalista del messaggio stesso.
Si tratta di un adeguamento di facciata e della manifestazione della volontà di persistere in una linea ottusa che manterrà aperto un problema di democrazia e un contenzioso assai delicato nel nostro paese.
Il messaggio presidenziale aveva aperto il cuore alla speranza di un ripensamento più sereno.
La decisione della maggioranza fa perdere anche questa occasione di dare al nostro paese un sistema televisivo e della comunicazione di massa più pluralista, più competitivo, e maggiormente degno di una grande democrazia quale è la nostra.