COMMISSIONI RIUNITE
VII (CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE) E IX (TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 13 febbraio 2007

 

 

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA VII COMMISSIONE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 10,35.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

 

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

 

Audizione di rappresentanti di Wind, Fastweb, Vodafone e H3G.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul disegno di legge C. 1825, recante disposizioni per la disciplina del settore televisivo nella fase di transizione alla tecnologia digitale, l'audizione di rappresentanti di Wind, Fastweb, Vodafone e H3G.
Nel dare il benvenuto ai nostri ospiti, do quindi la parola al rappresentante di Wind, dottor Massimo La Rovere, che è accompagnato dal dottor Alessandro Picardi.

MASSIMO LA ROVERE, Responsabile degli affari regolamentari nazionali di Wind. Ringrazio gli onorevoli e i presidenti delle Commissioni per l'occasione offertaci di rappresentare la posizione dell'azienda in relazione al disegno di legge n. 1825.

 

 

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Esso si propone di disciplinare la transizione alla tecnologia digitale e individua come principi ispiratori quattro elementi essenziali: la tutela della concorrenza e del pluralismo per evitare la costituzione di posizioni dominanti, la distribuzione di risorse economiche, la progressiva separazione tra operatori di rete e fornitori di contenuti, nonché l'ottimizzazione dell'utilizzo dello spettro frequenziale. Wind ritiene questi quattro principi profondamente coerenti con il principio costituzionale di tutela del pluralismo e del diritto all'informazione, stabilito anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 94 del 1977.
Per quanto attiene all'esperienza della nostra azienda, intendiamo sottolineare che, alla luce delle direttive 21 del 2002 e 311 del 2003, le direttive framework, che introducono la regolamentazione dei mercati dominanti in ambito nazionale e quindi il recepimento delle direttive comunitarie, impongono obblighi regolamentari ex ante, qualora non sia garantito un adeguato livello competitivo.
Per quanto concerne il mercato dei servizi di diffusione radiotelevisivi per la trasmissione di contenuti agli utenti finali, è in corso tuttora una consultazione pubblica presso l'autorità, la 61\/06\/CONS, che riguarda l'analisi di tale tipologia di mercato.
Arrivando al contenuto del disegno di legge, esprimiamo alcune considerazioni, in particolare per quanto riguarda l'articolo 3, ovvero la possibilità di utilizzo delle frequenze liberate anche attraverso altre tecnologie, e soprattutto il comma 2, in cui viene introdotto l'obbligo per i soggetti titolari di più di due emittenti televisive di presentare entro 3 mesi all'Autorità per le garanzie delle comunicazioni un progetto di trasferimento su frequenze terrestri di palinsesti eccedenti la seconda. Wind rileva come l'assegnazione di tali frequenze

 

 

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restituite, una volta adempiuto l'obbligo, non debba essere riferito esclusivamente al DTT, ma anche riferito al DVB-H. Questo consentirebbe un'estrema trasparenza nel contesto concorrenziale delle varie caratteristiche della tecnologia DVB, che si estrinseca nella modalità terrestre e sul mobile.
Riteniamo che questo obiettivo consenta anche un'effettiva concorrenza tra operatori di piattaforme diverse, nonché un intervento che garantisca ai concorrenti le medesime condizioni di accesso al mercato.
Per quanto riguarda il secondo principio, facciamo riferimento all'articolo 3, comma 10, ossia all'ampliamento dell'obbligo di accesso alla banda larga anche in modalità non lineari. In esso si sancisce l'obbligo per i soggetti titolari di infrastruttura a banda larga, notificati come notevole forza di mercato, di offrire agli operatori titolari di un'autorizzazione generale l'accesso a tale infrastruttura.
Su questo argomento, riteniamo estremamente opportuno promuovere un mercato concorrenziale. Da qui deriva per gli operatori di rete fissa alternativi la possibilità di accedere ad infrastrutture che rappresentano un'esclusività di accesso non replicabile se non con investimenti massicci in fibra o in cavo.
Da questo punto di vista, suggeriamo la possibilità di ampliare la previsione anche a servizi che si esplichino in modalità non lineari, in modo tale da consentire agli utenti di non essere esclusivamente destinatari passivi di servizi, ma anche utilizzatori dei servizi interattivi.
Nell'ambito del contesto concorrenziale, ci preme evidenziare come tuttora sia in corso presso l'autorità preposta una consultazione pubblica, che si chiuderà con l'identificazione dell'offerta di Stream in capo all'operatore dominante, che può rappresentare un'enucleazione del principio perseguito dal disegno di legge. Mi riferisco in particolare al mercato 12,

 

 

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tuttora sottoposto ad analisi da parte dell'autorità nell'ambito dell'offerta di riferimento che l'operatore dominante sarà tenuto a proporre.
Il terzo punto da evidenziare riguarda l'incertezza applicativa del limite imposto per la fornitura di contenuti. Nel testo della disposizione in esame, non è chiaro se il limite riguardi tutti gli operatori televisivi, inclusi quelli che intendono veicolare i contenuti su piattaforme satellitari o Internet, o solamente quelli che vogliono usufruire di servizi in digitale terrestre. Vorremmo quindi un chiarimento su questo punto.
Nell'ambito del disegno di legge, Wind evidenzia la rispondenza alla giurisprudenza costituzionale favorevole al pluralismo televisivo come principio di concorrenza del mercato di riferimento, e considera positiva la promozione di nuove modalità di trasmissione, come Internet TV su banda larga, introdotte attraverso il disegno di legge.
Alle Commissioni chiediamo alcuni chiarimenti che riguardano l'eventuale possibilità di utilizzare le frequenze liberate in digitale terrestre anche su altre tecnologie - come il DVB-H - e la possibilità di consentire l'accesso alle infrastrutture a banda larga anche in modalità non lineare, oltre a quelle lineari trattate dal disegno di legge, nonché una precisazione per chiarire l'ambito applicativo del limite del 20 per cento stabilito dal disegno di legge.

PRESIDENTE. La ringrazio. Do parola al dottor Giovanni Moglia, direttore degli affari regolamentari e legali di Fastweb, accompagnato dal dottor Roberto Scrivo e dal dottor Alessandro Corsi.

GIOVANNI MOGLIA, Direttore degli affari regolamentari e legali di Fastweb. Per risparmiare tempo e lasciare spazio a eventuali domande, abbiamo predisposto un testo scritto per

 

 

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vostra consultazione. Richiamerò brevemente alcuni punti di particolare interesse.
Fastweb è il primo operatore italiano convergente, che cioè si muove dal settore delle telecomunicazioni verso il settore delle comunicazioni, la televisione. È il primo operatore al mondo ad aver avuto una rete triple play, ovvero una rete in cui passavano dati, telefono e video, e attualmente è anche il quarto come numero di clienti IPTV.
IPTV è la nuova generazione della televisione via cavo che, accanto ai contenuti lineari (la televisione diffusiva), può trasmettere anche contenuti punto punto, quindi una televisione costruita dal cliente sul contenuto che sceglie, e nel momento in cui lo vuole. Questa impresa, che ormai si è stabilizzata in Italia con un milione di clienti, di cui 300 mila hanno IPTV a casa, è stata resa possibile in seguito al superamento di non poche barriere all'ingresso di questi mercati, erette dai dominanti che li presiedevano, Telecom Italia nel mercato della telefonia, Sky nel mercato della televisione a pagamento e Rai e Mediaset in quello della televisione in chiaro.
Si deve considerare come solo una regolamentazione attenta nel mondo delle telecomunicazioni e una sentenza della Commissione europea per quanto riguarda la televisione a pagamento abbiano potuto generare una convergenza tra telecomunicazioni e televisioni in questo paese.
Molto meno è stato realizzato nel mercato delle televisioni, in cui il principio della concorrenza si deve fondere con il principio del pluralismo, e che tradizionalmente in Europa ha avuto pochi interventi dal lato concorrenziale. In Europa, infatti, al contrario di quanto accaduto negli Stati Uniti d'America, si è scelto di garantire il pluralismo attraverso il cosiddetto pluralismo interno, prima attraverso una televisione

 

 

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pubblica che garantisse il pluralismo delle varie voci, e poi attraverso normative di pluralismo interno anche per le televisioni commerciali.
Negli Stati Uniti d'America è stato seguito il criterio opposto, ovvero le regole di concorrenza sono state ancora più rigide e applicate proprio nel mercato televisivo che doveva garantire appunto un pluralismo informativo.
Si è creata una forte divisione tra broadcaster, operatori che costruiscono dei palinsesti, e reti di trasporto di questi palinsesti, e ciò ha fatto nascere un mercato in cui esiste un pluralismo fra costruttori di contenuti, che forniscono il proprio prodotto su tutte le reti trasmissive, dal satellite, al cavo, all'etere. Questo ha permesso anche la crescita di piccoli operatori di nicchia in un'industria di base molto forte, che ha potuto esportare in tutto il mondo e ha garantito un pluralismo informativo sicuramente superiore a quello di molti paesi europei.
Riteniamo che il merito del disegno di legge Gentiloni sia di riportare le regole di concorrenza al centro del dibattito in questo settore e di accentuare la trasmigrazione di alcune regole ormai da anni consolidate nel mercato delle telecomunicazioni anche nel mercato televisivo. Si tratta delle regole di interconnessione e quindi della possibilità di connettere le diverse reti e i diversi contenuti. Andrebbe compiuto un ulteriore passo - come recentemente sottolineatovi dal presidente Calabrò - verso la separazione tra reti di trasporto e società che forniscono i contenuti, anche giungendo per gli operatori dominanti a una separazione di tipo proprietario e non solo societario; tuttavia ritengo che il percorso imboccato sia in grado di creare maggiore concorrenza in questo mercato.

 

 

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PRESIDENTE. La ringrazio. In rappresentanza di Vodafone, la dottoressa Bianca Maria Martinelli non è presente. Do quindi la parola al dottor Andrea Marini.

ANDREA MARINI, Rappresentante di Vodafone. Onorevole presidente, parlamentari, anche noi ringraziamo per aver dato a tutte le aziende, ed in particolare a Vodafone, la possibilità di esprimere osservazioni su questo disegno di legge. Il processo di convergenza tecnologica e di mercato, infatti, impone una riflessione per fenomeni che un tempo erano nettamente separati, e quindi la presenza di un operatore tradizionalmente concentrato nel settore delle comunicazioni elettroniche è una concreta testimonianza del cambiamento cui stiamo assistendo.
Articolerei rapidamente l'intervento su tre elementi. Il primo elemento riguarda le modalità con cui Vodafone si muove nell'ambito dell'attività di broadcasting, un secondo s'incentra sulla convergenza ed un terzo è imperniato sugli aspetti di questo disegno di legge che riguardano l'utilizzo delle frequenze e della capacità trasmissiva.
Per quanto riguarda il primo punto, Vodafone Italia ha avviato lo scorso dicembre, con il nome commerciale di Vodafone Sky TV, il proprio servizio in tecnologia DVB-H, e quindi opera come fornitore del servizio, avvalendosi però della collaborazione di due partner, Mediaset come operatore della rete e Sky, soggetto operante nel mercato del satellitare, per la fornitura dei contenuti. Vodafone ha optato quindi, rispetto alle soluzioni adottate da altri concorrenti, per una politica commerciale incentrata sulla trasmissione dei contenuti cosiddetti premium, ovvero non altrimenti disponibili sui canali cosiddetti generalisti presenti nella TV analogica o in quella digitale terrestre. Questa scelta è stata determinata essenzialmente da due fattori: le risorse di capacità trasmissiva

 

 

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ancora scarse e a costi piuttosto elevati, e il fatto che l'accesso a contenuti cosiddetti generalisti abbia condizioni piuttosto onerose, con una richiesta di servizio ed impegni temporali di lungo termine, poco adeguati all'avvio di un mercato così giovane. La normativa vigente in Italia per le trasmissioni digitali su terminali mobili è basata essenzialmente su un'estensione della preesistente normativa sulla TV digitale terrestre DVB-T, e quindi, con l'adozione della delibera 266 dello scorso anno, l'Agcom ha emendato il proprio regolamento sul digitale terrestre individuando una disciplina transitoria.
Per quanto concerne la convergenza, si assiste ad una rivoluzione dei mercati in cui si opera, ed è necessario creare condizioni anche normative per uno sviluppo armonico dei settori interessati, in una fase di forte discontinuità. Qualcuno la definisce convergenza normativa o regolamentare, ma crediamo che la prospettiva per mercati oggi comunicanti, telecomunicazioni e broadcasting, sia la previsione di regole uniformi, pur riconoscendo ovviamente le specificità e le garanzie connesse con la tutela del pluralismo informativo.
Già le direttive del 2002, adottate a Bruxelles e recepite in Italia con il Codice delle comunicazioni elettroniche, si erano mosse in questa direzione, e abbiamo già oggi effetti evidenti di questa convergenza normativa, oltre che tecnologica e di mercato, quali il mercato n. 18, che rientra nella lista dei mercati di cui l'Agcom si occupa insieme ai mercati delle telecomunicazioni, e il Testo unico della radiotelevisione, che integra principi già presenti nelle direttive del 2002, ad esempio in tema di autorizzazioni generali e di individuazione di posizioni dominanti.
Nel riformare l'impianto che disciplina il sistema radiotelevisivo, il disegno di legge in esame compie un ulteriore passo

 

 

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verso la creazione di un contesto normativo in armonia con i principi comunitari, avendo come snodi di riferimento essenzialmente la tutela della concorrenza e quella del pluralismo delle fonti di informazione. Per tradizione e per essere focalizzati sul business delle comunicazioni elettroniche, ci concentriamo in particolare sugli aspetti positivi di questo disegno con riferimento alla tutela della concorrenza, laddove esso non affronta però il delicato tema dell'accesso ai contenuti.
Per quanto riguarda l'aspetto del cosiddetto dividendo digitale, cui la legge che il Parlamento si appresta a votare sicuramente imprimerà una sorta di accelerazione, la scadenza del 2012 come data definitiva per lo switch off della televisione analogica e le altre previsioni - quali quella dell'incentivo al passaggio in digitale, entro 15 mesi dall'entrata in vigore della legge, di una delle reti analogiche dei principali operatori televisivi - daranno luogo in breve tempo alla liberazione di notevoli quantità di risorse frequenziali.
È essenziale per Vodafone che i processi di assegnazione delle frequenze abbiano luogo nel pieno rispetto dei principi comunitari già sanciti e consideriamo lodevole l'iniziativa della Agcom che, di concerto con il Ministero delle comunicazioni, ha avviato la ricognizione sistematica del patrimonio frequenziale. Riteniamo che questo aspetto, insieme ai limiti all'utilizzo della capacità per i fornitori di contenuto, possa ulteriormente accelerare l'accesso al mercato di nuovi fornitori di contenuti e di servizi e quindi imprimere un forte impulso alla promozione della concorrenza.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Marini. Do la parola all'avvocato Annalisa Malfatti, direttore degli affari istituzionali di H3G-3, accompagnata dalla dottoressa Carola Lulli, dalla dottoressa Lucia Bernabei e dal dottor Bonfardesci.

 

 

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ANNALISA MALFATTI, Direttore degli affari istituzionali di H3G-3. La ringrazio, signor presidente, e ringrazio tutti i deputati presenti per l'opportunità di esporre la nostra posizione in relazione alla disciplina del settore della televisione nella fase di transizione alla tecnologia digitale. Dagli interventi dei colleghi sono emersi numerosi spunti di riflessione, per cui cercherò di essere estremamente sintetica, sottolineando le peculiarità del caso H3G e della nostra posizione rispetto alla legge, in modo da lasciare spazio alla discussione. Quali nuovi entranti nel settore, non possiamo non apprezzare la volontà di introdurre tempestivamente nell'ordinamento italiano un corpus di norme che eviti il ribaltamento in questo segmento delle posizioni consolidate sul mercato analogico.
A questo proposito, mi preme sottolineare l'unicità della posizione di H3G-3, alla luce del fatto che il Gruppo 3, acquisendo un operatore televisivo titolare di licenza di operatore di rete in ambito nazionale, è l'unico soggetto nuovo entrante nel settore televisivo negli ultimi anni. Grazie a questa operazione di acquisizione, il Gruppo 3 è stato il primo operatore al mondo ad avviare il nuovo servizio televisivo verso terminali mobili in tecnica digitale. Ad oggi è l'unico operatore di telefonia mobile ad essere anche operatore di rete televisiva. Questo ci distingue dai nostri concorrenti di settore. Mediante la controllata H3G, è anche il fornitore di contenuti televisivi e di servizi al pubblico di accesso condizionato.
Dunque 3 Elettronica, la società elettronica controllata dal gruppo che è titolare della licenza di operatore televisivo, grazie a ingenti investimenti concentrati in un arco temporale estremamente limitato (meno di 18 mesi), ha realizzato la propria rete in tecnica digitale acquisendo a titolo oneroso ogni singolo impianto sul territorio, rinunciando al titolo analogico ed avviando le proprie trasmissioni in tecnica

 

 

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digitale verso terminali mobili, sulla base di titoli abilitativi che le consentirebbero anche la trasmissione in tecnica digitale tradizionale fissa. Questa peculiare situazione del Gruppo 3 è riconosciuta altresì dal recente carteggio fra Agcom, il Ministero e il nostro gruppo, che ha qualificato 3 Elettronica come soggetto titolare di licenza, non ricadente nell'ambito di applicazione della disciplina dedicata ai concessionari.
Abbiamo appreso in questi giorni che il nostro investimento in innovazione ci ha consentito di diventare esportatori di tecnologia. Recentemente, abbiamo infatti concluso un accordo con il primo operatore malese che ci ha affidato la responsabilità di realizzare in questo Stato una rete DVB-H per la trasmissione di contenuti televisivi verso terminali mobili.
Questa spinta all'innovazione può fare dell'Italia uno dei leader mondiali del settore delle comunicazioni, a condizione però che essa sia supportata da un quadro normativo che incoraggi la competizione, l'innovazione e l'accesso di nuovi player al mercato, condizioni essenziali per mantenere alto il livello di innovazione di qualsiasi settore economico.
A questo proposito, ci preme evidenziare tre aspetti: l'accesso alle risorse frequenziali, la necessità di definire all'interno di questo provvedimento un pacchetto di regole dedicate alla televisione in mobilità, che ha caratteristiche particolari rispetto alla trasmissione generalista e generale, e il funzionamento del nuovo Auditel.
In tal senso, la prima esigenza del nostro gruppo attiene alle risorse frequenziali. Consideriamo necessario preservare gli investimenti che abbiamo posto in essere come unico nuovo entrante nel settore televisivo, anche in vista dell'armonizzazione richiesta dalla Conferenza di Ginevra del 2006, a cui abbiamo partecipato. Allo stesso tempo, sarebbe necessario consentirci di partecipare, a condizioni eque, trasparenti e non

 

 

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discriminatorie, all'accesso alle frequenze in eccedenza che dovranno necessariamente risultare dalla transizione al digitale.
In tale contesto, favorire l'accesso alle risorse frequenziali, alle nuove tecnologie, a nuove piattaforme quali il DVB-H può significare sostenere contemporaneamente l'innovazione tecnologica e tecnologie che già oggi sono digitali e accessibili alla totalità della popolazione. Favorire le nuove tecnologie, inoltre, presuppone anche riconoscere la peculiarità di queste nuove piattaforme, considerando in particolare le istanze di quegli utilizzatori interattivi che, in un'ottica di convergenza non solo delle piattaforme, ma anche dei media, rappresentano il futuro dei consumatori italiani.
Da questo punto di vista, è necessario a nostro avviso considerare anche la possibilità di inserire in questo provvedimento alcune norme dedicate alla televisione in mobilità, valutando soprattutto due aspetti, cui se ne aggiunge un terzo che non è oggetto di questo provvedimento ma è già stato largamente discusso anche in questa Commissione, in relazione ad altre proposte di legge. Ci riferiamo in particolare al sistema della raccolta pubblicitaria e in generale alla disciplina della pubblicità, che deve riconoscere le peculiarità della televisione in mobilità sia in termini di regole che tengano presente la peculiarità della modalità di fruizione, sia in termini di riserva agli operatori mobili degli spazi pubblicitari sia nell'ambito della trasmissione di canali propri che nella ritrasmissione e redistribuzione di canali terzi. Tagliare fuori da questa risorsa economica gli operatori mobili che investono in innovazione significa rinunciare ad essere leader di questo segmento di innovazione.
L'altro aspetto estremamente tecnico, paradossalmente anche noioso, ma in grado di impattare in modo determinante

 

 

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sull'operatività dei singoli soggetti che agiscono in questo settore, riguarda il regime fiscale, in particolare la peculiarità del regime fiscale attualmente applicato agli operatori telefonici, che operano in regime di IVA monofase, differenziato rispetto al regime fiscale applicabile ai fornitori di contenuti. Riteniamo necessario un intervento di armonizzazione e di ridefinizione del quadro normativo, anche sotto il profilo fiscale in cui gli operatori dovranno muoversi.
Esiste un tema vitale per il settore, che non è oggetto di questo provvedimento ma contribuirà a determinare l'equità del sistema e la capacità di pluralismo nel sistema, ovvero quello dell'accesso ai contenuti privilegiati. Mi limito a richiamare in sintesi quanto affermato anche nel corso di una precedente audizione sui diritti del calcio. Deve essere garantito alle piattaforme e agli operatori emergenti un accesso ai contenuti privilegiati, così da rendere loro possibile la costruzione di un pacchetto di offerta per i propri clienti in grado di sostenerne la diffusione.
Infine, è necessario che il nuovo sistema di rilevazione degli ascolti consideri anche la televisione in mobilità tra le piattaforme rilevabili, perché soltanto chi è misurato e misurabile può essere preso in considerazione come soggetto su cui investire. Se si mira veramente a valorizzare l'innovazione tecnologica, si deve consentire anche a questo mercato nascente l'accesso agli strumenti di misurazione per assicurarne uno sviluppo equilibrato.

PRESIDENTE. La ringrazio. Do ora la parola ai deputati che intendano formulare domande o esprimere osservazioni.

PAOLO ROMANI. Chiedo scusa per il ritardo, perché per problemi aeroportuali dello scalo romano non ho potuto ascoltare la relazione del rappresentante di Wind. Ho letto

 

 

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velocemente le altre relazioni ed è sempre difficile procedere a sintesi dinanzi a interlocutori così importanti e relazioni così approfondite.
Nella documentazione ritorna spesso il concetto di convergenza multimediale. Sono convinto che sia un processo in atto, ma che lo sia anche un processo di approfondimento di ciascun settore, ovvero che si vada verso il super telefonino, il super computer e il super televisore ad alta definizione, laddove difficilmente i tre potrebbero invece integrarsi. Non ho mai creduto in questo tipo di conclusione del processo complessivo del mondo delle telecomunicazioni, sebbene ci siano processi che si intrecciano.
È oggi in discussione il disegno di legge Gentiloni, che mira a restringere il recinto della condivisione della pubblicità e, dopo anni in cui è stato invece allargato, segnala l'esigenza di mettere un tetto alla pubblicità televisiva. Noi stiamo invece cercando di allargarlo perché consideriamo arretrato un ragionamento di questo tipo. Voi toccate in maniera impegnativa questo settore, per cui desidero porre soprattutto a coloro che trasmettono via etere (meno a Fastweb) un quesito concernente la dimensione del mercato.
H3G-3 sembra più avanti di altri nell'accesso al protocollo di DVB-H perché ha comprato frequenze televisive proprie e ha costituito un'azienda televisiva, trasmettendo in DVB-H, mentre altre aziende, come Vodafone, hanno cominciato in maniera diversa, senza acquistare frequenze televisive ma appoggiandosi.
La prima domanda, rivolta a entrambi, è quale tipo di barriere all'accesso abbiate incontrato o non abbiate voluto superare nel momento in cui avete cominciato con il DVB-H.
A tutti vorrei invece chiedere quali possano essere le reali dimensioni di mercato. Realizzate forti investimenti - forse

 

 

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bisognerebbe specificare meglio su cosa - per il DVB-H, e vorrei valutare le dimensioni del mercato prospettate per i prossimi anni, o almeno avere un'analisi quantitativa delle potenzialità di mercato in termini di revenue per l'azienda, di mercato pubblicitario.
Mi riferisco al DBV-H perché è uno dei settori in cui probabilmente ci sarà maggiore sviluppo, ammesso che questa tecnologia funzioni. Abbiamo già l'esempio dell'UMTS che non ha sortito gli effetti previsti, e non so se assisteremo all'intera Italia che, oltre a parlare al telefono in strada, guarderà anche la televisione in strada, ma molte delle vostre aziende ci stanno scommettendo.
È importante quindi conoscere nelle vostre strategie industriali i termini del fatturato, dei ricavi di questo settore, che ritengo sia assolutamente assimilabile a quello del mercato della pubblicità televisiva in generale.

ANTONIO RUSCONI. Intervengo molto brevemente. Quelle che stiamo svolgendo sono indubbiamente audizioni importanti, perché, come il termine indica, anzitutto abbiamo l'occasione di ascoltare.
I temi che più avete sottolineato nei vari interventi sono il dato delle opportunità e il dato del pluralismo, che avevate già evidenziato nell'audizione sui diritti sportivi. Ritengo che alcuni interventi nel primo passaggio di questo provvedimento, sia da parte del relatore che da parte del Governo, siano andati nell'auspicata direzione di offrire maggiori opportunità.
Ritengo che le nuove tecnologie non solo avranno un mercato più incentivato, ma garantiranno offerte diverse, a seconda, ad esempio, delle fasce d'età, laddove, mentre un adulto probabilmente non si appassiona a vedere un goal al telefonino e non in televisione, probabilmente questo può emozionare un giovane.

 

 

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Vorrei chiedervi in cosa il disegno di legge che esaminiamo favorisca sempre più il pluralismo oppure quali elementi lo ostacolino.

ANTONELLO FALOMI. Mi pare che tutti gli intervenuti abbiano affrontato il problema dell'accesso alle risorse frequenziali come condizione essenziale per poter sviluppare anche nuove piattaforme e nuovi servizi. Nel porre questo problema, hanno sottolineato l'esigenza di un pieno rispetto dei principi di trasparenza e di non discriminazione indicati nella direttiva quadro europea.
Vorrei pertanto chiedervi se riteniate che il rigoroso rispetto dei principi delle direttive europee entri in qualche modo in conflitto con l'esigenza di garantire nel nuovo scenario tecnologico non soltanto i nuovi entranti, ma anche ovviamente gli operatori tradizionali. Esiste infatti il problema di un assetto già definito nel nostro paese.
Desidero inoltre sapere se questa esigenza di tener conto degli operatori tradizionali e dei nuovi entranti nel nuovo scenario tecnologico non riduca anche lo spazio disponibile in termini di risorse frequenziali per piattaforme tipo DVB-H, quindi la possibilità poi di una reale evoluzione.
Il terzo quesito è se le misure indicate nel disegno di legge per liberare le risorse frequenziali, quella della cessione delle frequenze ridondanti oltre il limite del 98 per cento ed il passaggio sul digitale terrestre di una rete Rai e di una rete Mediaset, siano sufficienti a garantire questo spazio di intervento degli operatori telefonici verso le nuove piattaforme. In questa sede abbiamo ascoltato anche altre opinioni che evidenziavano come le misure indicate per quanto riguarda la liberazione di risorse frequenziali si rivelino del tutto insufficienti rispetto alle esigenze.

 

 

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Vi chiedo dunque un approfondimento in merito a tali questioni, anche perché nell'audizione con Telecom Italia Media, pur essendo stati sottolineati da Telecom gli investimenti nella banda larga, in realtà poi è stato richiamato il limite delle difficoltà di accesso ai contenuti per poter sviluppare investimenti molto consistenti. Il rischio è che, senza una crescita di investimenti in banda larga, le nuove possibilità tecnologiche non possano essere pienamente utilizzate. Il problema è dunque individuare gli impegni degli operatori telefonici nel settore degli investimenti per quanto riguarda la banda larga.

MARIO BARBI. Vorrei rivolgere due domande specifiche e puntuali, una delle quali a Fastweb. Non ho ascoltato integralmente le relazioni, quindi ho cercato di recuperare. Nelle conclusioni si legge: «Riteniamo auspicabile che l'obbligo di interconnessione, gravante sulla rete dominante, non sia limitato alle forme tradizionali di diffusione come il broadcasting, ma sia esteso anche alle forme più innovative della TV interattiva»: vorrei chiedervi cosa significhi in termini operativi, e, contestualmente, se possiate fornirci dati relativi ai vostri abbonati televisivi. Nel documento sono inserite alcune osservazioni relative alle difficoltà di rapporto con la piattaforma fornitrice Sky, che pure dovrebbe essere vincolata agli obblighi imposti dalla Commissione europea, e pertanto vi chiederei di aggiungere qualche elemento in proposito.
Mi rivolgo a H3G-3, senza però escludere altri eventuali interventi, per quanto concerne la diffusione di televisione in mobilità. Vorrei infatti conoscere il palinsesto e i contenuti che offrite, sapere se abbiate prodotti originali o si tratti di una redistribuzione di contenuti. Il tema dell'accesso ai contenuti è stato posto da tutti e non mi sembra secondario.

 

 

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Aggiungerei una nota a margine su quanto affermato dall'onorevole Romani sulle barriere di accesso. Trattando di televisione terrestre, analogica, del controllo delle frequenze, della forte integrazione verticale di Rai e Mediaset, del controllo dei mercati a monte, della dimensione globale delle imprese, dell'inesistenza di un mercato secondario dei diritti, dell'Auditel, certamente barriere di accesso non mancano.

DAVIDE CAPARINI. Intervengo molto brevemente. H3G-3 testimonia che è possibile un uso migliore delle risorse frequenziali, in quanto il gruppo è riuscito nell'ardua impresa di creare un nuovo canale nazionale. Vorrei sapere quindi se, secondo il vostro punto di vista attualmente più avanzato, sia ancora possibile attraverso il trading un uso migliore delle risorse frequenziali per tutti, perché poi invece un argomento toccato da più operatori è la questione della TV multipiattaforma, ovvero l'agognato decoder unico che ricorre in tanti provvedimenti sia normativi sia regolamentari, ma che alla fine solo pochi soggetti sono riusciti a realizzare.

PRESIDENTE. Per noi sono non solo gradite, ma necessarie, eventuali memorie che intendiate lasciarci e che verranno acquisite agli atti delle Commissioni.
Do ora la parola ai rappresentanti di Wind, Fastweb, Vodafone e H3G per una replica.

MASSIMO LA ROVERE, Responsabile degli affari regolamentari nazionali di Wind. Cercherò di sintetizzare la risposta prendendo spunto dalle varie domande fornite.
Per quanto riguarda il tema dell'evoluzione tecnologica e l'ammontare dei ricavi previsto dagli operatori, l'evoluzione tecnologica richiede un monitoraggio molto attento e quindi, rispetto al passato, oggi si rileva una fase di transizione, sia

 

 

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nelle tecnologie fisse che nelle tecnologie radiomobili. È stato citato prima nel radiomobile l'UMTS, che ha avuto un'evoluzione per il traffico dati, per la videocomunicazione, con un operatore che non ha avviato il servizio rispetto ai licenziatari. Troviamo nell'ambito del fisso, invece, un'evoluzione verso le reti di nuova generazione, la famosa NGN, le Next generation networks, che in tutta Europa alimentano il dibattito per accedere ad una risorsa scarsa ovvero giungere all'abbonato finale, all'end user, evolvendo la capacità di bande disponibili per l'erogazione di servizi radiotelevisivi in modalità interattiva.
Secondo l'Agcom, il settore delle telecomunicazioni fisse e mobili dal 1998 al 2005 ha investito circa 56 miliardi di euro, in una situazione di prezzi al consumatore decrescenti. Secondo l'ultima relazione Agcom, facendo 100 i prezzi del 1995, ci troviamo a 97 come indicatore di indice dei prezzi al consumo nell'ambito dei servizi di telecomunicazione, contro un 148 dei servizi di pubblica utilità in genere, quindi con una variazione dei servizi di pubblica utilità rispetto ai servizi di telecomunicazione. Queste sono fonti della relazione annuale dell'Autorità, in cui potrebbe riscontrarsi qualche imprecisione sull'indicatore puntuale perché cito a memoria.
Da ciò si evince che in questo settore sono state investite risorse rilevanti. Ogni operatore ha la sua specificità di business, come è stato evidenziato, e ha investito in DVB-H, o nell'IPTV, o in una modalità complementare rispetto al servizio radiomobile o al servizio fisso fornito, però si tratta di un servizio in cui sono state investite risorse molto rilevanti, che ammontano a 56 miliardi di euro.
In futuro riteniamo che il punto di snodo sia cruciale e richieda un monitoraggio attento dell'evoluzione tecnologica. Oggi non siamo in grado di valutare l'ammontare di risorse

 

 

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economiche che i vari concorrenti all'interno del mercato potranno spartirsi in funzione dell'evoluzione del settore, e pertanto ci riserviamo di far pervenire alla Commissione un approfondimento tecnico specifico, fornendo dati quantitativi per consentirvi di valutare le prospettive di evoluzione dell'azienda.

GIOVANNI MOGLIA, Direttore degli affari regolamentari e legali di Fastweb. Cercherò di essere molto sintetico. Per quanto concerne la notazione dell'onorevole Romani sulla specializzazione dei cosiddetti device, ovvero dei mezzi con cui il cliente fruisce il programma, il dato, la telefonata, concordo che stiano specializzandosi, mentre convergono le reti in cui vengono trasportati i segnali, soprattutto le reti di telefonia fissa che riescono a trasportare anche segnali televisivi in forma digitale con capacità di alta definizione anche per le reti di nuova generazione.
Fastweb ha riscontrato inizialmente molte barriere di accesso a questo mercato, e per quanto riguarda il settore televisivo vorremmo ricordarne sostanzialmente tre.
Senza una sentenza di Bruxelles, non avremmo potuto avere nella nostra offerta una televisione a pagamento, ovvero non avremmo potuto trasportare ai nostri clienti su cavo, invece che sul satellite, pagando e dando alla televisione a pagamento margini identici a quanto la televisione a pagamento riesce a godere sul satellite, non avremmo potuto fruire dei canali premium di Sky. Solo un intervento dell'antitrust di Bruxelles ha reso questo possibile.
Fastweb è l'unica televisione via cavo in Europa e nel mondo che paga - non è pagata - per trasportare televisioni in chiaro. Paghiamo soltanto i canali dominanti, perché quelli non dominanti non chiedono soldi, ma usufruiscono dell'opportunità di essere trasportati. Normalmente, per una televisione

 

 

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essere trasportati ha un costo. L'Italia è l'unico paese in Europa in cui il trasportatore paga.
Il terzo aspetto che vorrei sottolineare è relativo all'Auditel. Abbiamo chiesto più volte all'Auditel di poter condividere gratuitamente i nostri dati di ascolto. Abbiamo 1.100.000 clienti, 300 mila dei quali hanno la televisione. Di questi, si hanno dati aggregati al minuto, ai cinque minuti, all'ora, relativamente a cosa vedono come televisione in chiaro, come televisione a pagamento e ad altri servizi. Questo è - come accennato dai colleghi di H3G-3 - un elemento essenziale. Infatti, senza una rilevazione di ascolti, è impossibile attrarre investimenti pubblicitari, perché chi investe in pubblicità ignora il possibile ritorno in termini di ascolto.
Per quanto riguarda l'obbligo di interconnessione per le reti di nuova generazione, bisogna considerare il tema relativo al lineare o non lineare. Le reti di nuova generazione, accanto a una trasmissione di tipo lineare, ossia diffusiva verso tutti, hanno la possibilità di fare offerte non lineari, in cui è il singolo utente a chiedere un determinato contenuto.
È evidente che quello che si paventa è che l'operatore dominante possa avere contenuti in esclusiva, in base alla maggiore capacità di offerta, senza offrirli anche ai clienti di IPTV che stanno su piattaforme alternative. Si chiede pertanto un allargamento di questo obbligo anche ai contenuti non lineari.
Per quanto riguarda il decoder unico, in questo momento abbiamo un decoder - credo sia presente per la prima volta in Europa - che ha la tecnologia sia del IPTV che del DTT, la televisione digitale terrestre, nel medesimo set top box. Riteniamo che debbano essere incoraggiati accordi tra le

 

 

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imprese per fornire decoder multipiattaforma, e che questo incentivi l'utilizzo delle diverse piattaforme e consenta un passaggio più rapido al digitale.

ANDREA MARINI, Rappresentante di Vodafone. Vorrei rispondere alla domanda dell'onorevole Romani relativa alle prospettive del mercato. È presto per dirlo, in particolare per Vodafone che si è affacciata sul mercato DVB-H da troppo poco tempo per avere dati significativi per effettuare una valutazione. Ovviamente Vodafone ha scelto di esserci, quindi ha optato per un accordo su base volontaria considerando le condizioni per l'accesso a questo mercato.
Possiamo solo constatare come le condizioni di questo siano incerte e come non appaia sicuro che i nostri business case, che hanno indotto l'azienda ad entrare in questo mercato, nel tempo ci diano ragione. La parola chiave in questo momento è «incertezza».
Le barriere all'entrata sono soprattutto economiche. Per quanto riguarda l'accesso alle risorse, esse si traducono in limitatezza delle risorse disponibili. Oggi abbiamo la possibilità di irradiare nuovi programmi e speriamo che le misure introdotte da questa normativa siano sufficienti.
Molto importante è la normativa secondaria, ovvero la normativa di attuazione e la capacità di pianificazione delle risorse. Da questo punto di vista, sarà essenziale che nella fase attuativa le autorità preposte, Ministero e Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, intervengano sapientemente.

ANNALISA MALFATTI, Direttore degli affari istituzionali di H3G-3. Presidente, se lei è d'accordo la pregherei di consentire di intervenire alla dottoressa Lulli che, in quanto responsabile della regolazione TV, è la persona più indicata per fornire i chiarimenti richiesti.

 

 

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PRESIDENTE. Prego.

CAROLA LULLI, Responsabile della regolamentazione televisiva di H3G-3. Inizio rispondendo alle domande sulla configurazione dell'offerta di H3G-3. Attualmente H3G-3 edita 6 canali propri, quindi produce, realizza e inserisce nel proprio bouquet 6 canali propri e ritrasmette anche canali di soggetti terzi, come Rai, Mediaset e Sky.
Tra giugno e dicembre 2006, H3G-3 ha raggiunto 300 mila abbonati. Gli investimenti effettuati sono molto ingenti perché hanno comportato l'acquisto di risorse frequenziali e la realizzazione di programmi propri con studi di produzione, acquisizione di contenuti.
H3G-3 chiede, per quanto riguarda la pubblicità, che ci siano regole dedicate. Un contenuto fruito in mobilità è infatti un contenuto che necessita di interruzioni più frequenti anche se di minor durata. Assoggettandosi alla corrente disciplina, ciò non è possibile.
H3G-3 chiede anche garanzie di protezione, perché il maggiore ostacolo, non solo nell'acquisizione di contenuti di soggetti terzi, ma anche nella negoziazione di spazi pubblicitari all'interno di questi contenuti, è rappresentato dal rifiuto da parte dei fornitori di contenuti. Chiede quindi una protezione affinché gli spazi all'interno dei canali DVB-H editi da se stessa o da soggetti terzi siano comunque riservati al fornitore di servizi, ovvero ad H3G-3 che assembla il bouquet a pagamento.
Come Fastweb, chiediamo che i nostri spazi vengano valorizzati secondo parametri oggettivi, possibili soltanto qualora vi sia una rilevazione dell'audience che i canali ricevono. Tale rilevazione può essere condotta soltanto secondo quanto il disegno di legge prefigura, quindi attraverso procedure che vedano la partecipazione di nuove piattaforme, quali il DVB-H,

 

 

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e che tengano conto dell'esigenza peculiare di un mezzo che probabilmente può essere descritto soltanto dagli operatori stessi. Chiediamo quindi di partecipare al nuovo sistema di rilevazione degli ascolti.
In ultima istanza, per quanto riguarda le frequenze, è possibile che altri soggetti entrino nel settore. H3G-3 lo ha fatto secondo l'ordinamento vigente, secondo le leggi n. 112 e n. 66, però con prezzi molto elevati. La barriera non sta tanto nel sistema, quanto nei costi.
Stiamo continuando a comprare impianti su tutto il territorio nazionale. Dal momento che tali impianti hanno un costo molto elevato e noi operiamo già in tecnica digitale, chiediamo che nel processo di conversione i nostri impianti siano preservati. Ciò comporta che il lavoro svolto a Ginevra - brillantemente condotto dal Ministero delle comunicazioni e volto al coordinamento e all'armonizzazione fra le nostre frequenze e quelle degli stati limitrofi - privilegi sicuramente frequenze già utilizzate in tecnica digitale, con grande risparmio di risorse.
Oltre a questo, avrà un ruolo rilevante il processo di riattribuzione già prefigurato dal disegno di legge Gentiloni, che consideriamo efficace, pur riservandoci di verificarne le modalità di attuazione. Si parla infatti di accesso di soggetti diversi che deve avvenire in modo equo, trasparente e non discriminatorio, ma occorrerà valutarne l'attuazione. Se quelle frequenze verranno redistribuite e consentiranno a tutti i soggetti di partecipare alla loro attribuzione, evitando quindi di trasferire la stessa situazione dell'analogico al digitale, H3G si sentirà sufficientemente tutelata.
Spero di aver risposto a tutti i quesiti che mi sono stati posti.

 

 

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PRESIDENTE. Ringrazio i partecipanti all'audizione. L'incontro odierno è stato molto utile per i nostri lavori, grazie alle indicazioni emerse.
Dichiaro conclusa l'audizione.

 

Audizione di rappresentanti di Alpi, Telenorba, Videolina, Rete Sette e Telegranducato.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul disegno di legge C. 1825, recante disposizioni per la disciplina del settore televisivo nella fase di transizione alla tecnologia digitale, l'audizione di rappresentanti di Alpi, Telenorba, Videolina, Rete Sette e Telegranducato.
Avverto che, a causa di un contrattempo, il rappresentante di Telelombardia, la cui audizione era prevista per oggi, non potrà partecipare alla seduta odierna. Cercheremo di recuperare la sua audizione nei prossimi giorni.
Do la parola all'ingegner Luca Montrone, rappresentante di Alpi e Telenorba.

LUCA MONTRONE, Rappresentante di Alpi e Telenorba. Ho consegnato una relazione scritta, in cui sono riportati dei grafici su cui mi soffermerò, anche per illustrarli.
Vorrei precisare che il diritto all'informazione garantito dalla Costituzione si basa su due bisogni fondamentali di un paese democratico: da un lato la necessità di assicurare la coesistenza di tante voci dell'informazione; dall'altro il diritto dei cittadini ad essere informati dalla maggiore quantità possibile di voci. Pertanto, il pluralismo dell'informazione necessita non soltanto dell'esistenza di tante voci, ma soprattutto della reale possibilità che le tante voci esistenti possano

 

 

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esprimersi senza essere emarginate da concentrazioni. Soltanto in tal modo la pluralità di voci può effettivamente tradursi in pluralismo; soltanto così i cittadini possono avere la concreta possibilità di scelta fra una molteplicità di fonti informative.
In Italia, il sistema televisivo è caratterizzato da una situazione duopolistica che non soltanto limita fortemente il pluralismo nel nostro paese, ma ne frena lo sviluppo dell'economia. La tabella contenuta nel nostro documento riporta la situazione di alcuni Stati europei, in particolare della Francia, della Germania, del Regno Unito e dell'Italia. Da questo prospetto si evince subito che in Italia la televisione - i dati sono quelli della fonte Nielsen del 2005; le rilevazioni relative al 2006 non sono state ancora fornite - ha il 52,8 per cento del totale della raccolta pubblicitaria. Il totale generale in Italia ammonta a 9 miliardi e 300 milioni.
Osserviamo ora la situazione degli altri Stati, tra i quali la Francia e la Germania che hanno la stessa moneta, ossia l'euro. La Francia presenta un totale generale di 18 miliardi di euro, la Germania di 18 miliardi e 800 milioni, il Regno Unito di 12 miliardi e 900 milioni; quello dell'Italia - lo ricordo - è di 9 miliardi di euro. Tale divario è dovuto al fatto che nel nostro paese i prezzi della pubblicità televisiva sono estremamente modesti. Questi ultimi, generati dal duopolio, hanno fatto sì che tutti gli altri media subissero tale situazione e realizzassero una raccolta di pubblicità estremamente contenuta.
Basti guardare, a titolo d'esempio, la situazione della carta stampata, che in Italia raggiunge una somma di 3 miliardi di euro, contro i 6 miliardi della Francia e gli 8 miliardi e 800

 

 

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milioni della Germania. La radio nel nostro paese totalizza soltanto 553 milioni, contro i 3 miliardi e 140 milioni della Francia ed il miliardo e 166 milioni della Germania.
In definitiva, dunque, questo stato di cose ha affossato il mondo della carta stampata - oggi, in Italia, si vende una quantità di copie pari a quella del 1937, nonostante ci sia tanta popolazione in più e tanto analfabetismo in meno - e, in maniera incisiva, quello delle televisioni locali.
Se esaminiamo la tavola successiva, notiamo che la raccolta pubblicitaria in Italia, nel rapporto tra i vari media del settore televisivo, è effettuata dalle televisioni locali solo per il 6 per cento, contro il 42,8 per cento di Mediaset - sto parlando del totale comprensivo del canone - e il 44,1 per cento della Rai. Tutte le altre televisioni nazionali messe insieme raggiungono una percentuale del 7 per cento.
È evidente che questa situazione anormale abbia affossato lo sviluppo dell'economia del paese e che non consenta la libertà di espressione. Non permette ai cittadini il diritto di vedere ciò che vogliono, né di avere accesso all'informazione.
La crisi dello sviluppo dell'economia del paese, dovuta al duopolio Rai-Mediaset, è anche una conseguenza di questa situazione. Le piccole e medie aziende, in Italia, rappresentano il 70,2 per cento del prodotto interno lordo, tuttavia non riescono a vendere i propri prodotti perché hanno una forza di comunicazione pari solo al 6 per cento del totale.
In questo quadro, si pone anche il problema del pluralismo dell'informazione. Nel prospetto successivo si mostra che vi è una strettissima correlazione - con percentuali che si aggirano intorno allo zero - tra le entrate e gli ascolti.
Scorrendo le tabelle della documentazione, troviamo uno schema che vede Mediaset totalizzare un ascolto, sul totale generale - la fonte è Auditel, con riferimento al 2005 -, pari

 

 

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al 41,9 per cento. Come si è detto, le entrate di Mediaset relative alla raccolta pubblicitaria sono pari al 42,8 per cento, mentre l'ascolto al 41,9 per cento. Per quanto riguarda la Rai, se le entrate sono del 44,1 per cento, l'ascolto è al 43,25 per cento. Le televisioni locali totalizzano un 6,3 per cento di ascolto, a fronte di un 6 per cento di entrate.
Alla luce di tali dati, si rende evidente - come evidenziavo in precedenza - che tale situazione duopolistica sia responsabile dell'affossamento del pluralismo dell'informazione e dello sviluppo dell'economia del paese. Di conseguenza, è necessario intervenire con una nuova legge, quella che è stata già impostata come disegno di legge Gentiloni, ma che, a nostro parere, è ancora pesante nei confronti delle televisioni locali.
Un totale pari al 45 per cento è ancora molto alto. A nostro avviso, tale cifra dovrà scendere al 35 per cento, anche perché sommando due percentuali del 45 per cento, si totalizza nuovamente un 90 per cento, senza che la situazione cambi di molto.
In ogni caso, il problema non consiste solo nell'abbassare il totale al 35 per cento, ma anche nel guardare con attenzione a quanto accade nel duopolio dei programmi. Questo aspetto non viene considerato, tuttavia il duopolio non esiste solo sulla raccolta, ma anche sui programmi. Si compra quello che serve e quello che non serve per l'eternità. Questo materiale viene depositato nei magazzini della Rai e di Mediaset, evitando così che lo possano utilizzare altre emittenti che non sanno cosa mandare in onda.
La questione, inoltre, coinvolge anche le frequenze. È sbagliato affermare che le televisioni locali hanno un terzo delle frequenze. Non è vero. È assurdo! Non si può fare la somma delle frequenze e sostenere che le televisioni locali ne

 

 

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hanno circa un terzo. Una frequenza con una potenza di 10 kW e un'altra con una potenza di 1 watt non sono uguali. Infatti, mentre una può raggiungere 5 milioni di abitanti, l'altra ne raggiunge solo 3 mila.
Bisogna quindi considerare il peso della popolazione, la potenza del trasmettitore e quella dell'antenna, per poi calcolare la somma totale ponderata. In base a tali elementi, si renderà evidente che in effetti le televisioni locali hanno soltanto un 18 per cento delle frequenze, considerato il totale generale e tenuto presente il peso della potenza di emissione del trasmettitore e dell'antenna.
Il problema, dunque, va affrontato valutando le frequenze che mancano, la concentrazione delle produzioni e il problema del calcio, che continua ad essere considerato come spettacolo, quando invece è informazione. Il calcio è una delle componenti importanti ai fini dell'ascolto, che poi determina il fatturato.
Concludo il mio intervento con una rapida considerazione a proposito del calcio. Nella mia relazione, mi sono limitato ad una sintetica trattazione dell'argomento. In un secondo momento, se ce ne sarà il tempo, si potrà approfondire. Relativamente al calcio, in questo particolare momento non auspichiamo la presentazione di un disegno di legge da discutere, ma di un decreto-legge da emanare subito, perché parliamo di pluralismo dell'informazione. Non è concepibile che le emittenti locali non possano trasmettere le partite di calcio.
Non guardiamo neanche con favore il fatto che nel disegno di legge Gentiloni si preveda, ad esempio, la possibilità di vendere su quattro piattaforme possibili, quella satellitare, digitale, terrestre e palmare. Devono essere considerate a parte anche le televisioni locali.

 

 

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In questo particolare momento, le emittenti locali devono poter trasmettere in diretta le partite di calcio che si giocano fuori casa, mentre quelle che si disputano in casa devono poterle mandare in onda mediante il digitale terrestre. Non è concepibile, ad esempio, che Sky abbia i diritti in esclusiva. Se questa è la situazione, il libero mercato dove sta? Tra l'altro, i cittadini non riescono neanche a vedere le partite, in quanto la sintonizzazione del digitale terrestre è estremamente modesta.
Come ho detto, dunque, non auspichiamo un disegno di legge, ma un decreto-legge. Il disegno di legge vada pure avanti nel suo percorso. Tuttavia, per lo sport, in questo particolare momento, volendo impedire che si formi il branco e volendo evitare di vendere i pacchetti - con il decreto-legge è stato fatto - sarebbe necessario fare in modo che le partite fuori casa siano trasmesse dalle televisioni locali.
Mi sono limitato a questi brevi cenni, ma lascio alla Commissione la memoria scritta.

PRESIDENTE. La ringrazio, ingegner Montrone.
Do ora la parola all'ingegner Fantola, vicepresidente di Videolina.

CARLO IGNAZIO FANTOLA, Vicepresidente di Videolina. Innanzitutto, faccio rilevare che il disegno di legge n. 1825 non si dilunga molto in relazione all'emittenza locale. Direi quasi che la proporzione è riferita agli ascolti; mentre andrebbe considerato un altro aspetto di tale settore, ossia quello del pluralismo dell'informazione al quale il legislatore, in genere, tiene moltissimo.
Sottolineo che le emittenti locali italiane sono 585 e che in regioni come il Piemonte se ne contano 35, mentre in Sicilia ve ne sono 103. Si tratta di numeri straordinari, che dovrebbero

 

 

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indurre a riflettere sull'importanza della penetrazione dell'emittenza locale nel territorio.
Dal momento che - come ho detto - il disegno di legge oggetto dell'indagine dice poco o niente a proposito dell'emittenza locale, questo vuoto dovrebbe essere colmato proprio dal Parlamento in fase di approvazione della legge.
Le osservazioni che svolgiamo chiaramente tengono conto delle esperienze che Videolina ha accumulato in Sardegna nella fase dello switch off. In questo momento di transizione, potrei dire che siamo i principali collaboratori del Ministero. Personalmente, faccio parte della task force che si sta occupando della transizione al digitale in Sardegna.
Voglio evidenziare, in primo luogo, il preoccupante atteggiamento di disponibilità invocato da taluni governatori delle regioni ad utilizzare surrettiziamente la Rai per realizzare un nuovo canale pubblico regionale. Mi riferisco agli esempi legati a Mercedes Bresso in Piemonte e a Renato Soru in Sardegna, che non hanno sicuramente alcuna incidenza sulle televisioni nazionali, ma che costituiscono invece un elemento di gravissimo disturbo per le televisioni locali. Se teniamo presente che in Piemonte ci sono 35 televisioni locali e in Sardegna 13, ci appare evidente l'assoluta inutilità di costituire un canale informativo regionale, pubblico, a carico dei cittadini. La legge D'Alema-Maccanico a suo tempo aveva escluso tale possibilità in maniera categorica. Il tutto è stato poi ripreso nel testo unico della radiotelevisione che ha confermato questa esclusione. Oggi, la signora Bresso e il signor Soru invocano, parlano e sembrano avere anche qualche consenso per realizzare queste nuove emittenti regionali pubbliche.
L'ulteriore aspetto molto rilevante che pongo alla vostra attenzione riguarda la protezione della capacità trasmissiva delle emittenti locali. Invochiamo la riserva di frequenze tra

 

 

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quelle resesi disponibili sulla base del disposto dell'articolo 3. Non si dice nulla per le emittenti locali. È importante consentire il simulcast alle emittenze locali nella fase di trasmissione.
Da questo punto di vista, direi che noi ormai in Sardegna siamo nel pieno dell'incendio. Tuttavia, le altre regioni italiane si troveranno in futuro ad affrontare questo problema. Faccio notare che per l'emittenza locale il simulcast è fondamentale, esso significa la possibilità di trasmettere in analogico e in digitale. Qualsiasi piccola televisione che passi immediatamente al digitale perde la propria pubblicità.
Mentre le televisioni nazionali possono combattere questo fatto, le emittenze locali rischiano di morire. Quindi, il problema del simulcast, nella fase di transizione, deve essere assolutamente previsto. Inoltre, occorrerà favorire la capacità trasmissiva delle emittenti locali dopo che sia avvenuta la fase di transizione.
Voglio richiamare ancora alcuni punti fondamentali che sono stati ribaditi più volte anche dalla RFT, la nostra associazione di categoria. Mi riferisco alla riserva, in favore delle televisioni locali, di una quota del 40 per cento della capacità trasmissiva, che le emittenti nazionali devono obbligatoriamente rispettare, ai sensi della legge n. 66 del 2001. Quindi, la capacità trasmissiva è da assegnare anche in questo caso sulla base di criteri di selezione rigidi.
Un ulteriore elemento da considerare è quello relativo alle previsioni di disposizioni tali da garantire l'esclusività della fornitura di servizi applicativi a livello locale. Anche sotto questo profilo, corriamo il rischio che il presidente Soru, la Bresso e gli altri cerchino di monopolizzare questo campo, svolgendo un'attività pubblica che deve essere invece portata avanti dal privato.

 

 

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Vi riporto un esempio, per spiegare meglio ciò che intendo dire. Il presidente Soru sostiene di aver costruito un sito web, nel quale è riportata tutta l'informazione regionale; a questo punto esprime l'intenzione di realizzare un canale televisivo proprio in cui trasferire l'informazione presente sul web. A tale affermazione rispondiamo che per questa attività esiste l'emittenza locale.
In Sardegna vi sono 13 emittenze locali con il 100 per cento di copertura del territorio. Pertanto, il presidente Soru non può pensare di farle morire, arrogandosi il diritto di svolgere un'attività che sin dalla legge D'Alema-Maccanico è riservata all'emittenza locale.
È necessario poi considerare la questione della difesa dell'attuale sintonia analogica delle televisioni locali nell'ordinamento automatico dei canali in digitale. Il tema della sintonizzazione attualmente è all'esame dell'agenzia delle comunicazioni ed ha un'importanza fondamentale. Dobbiamo fare in modo che all'emittenza locale sia effettivamente riservata una sintonizzazione, a partire dai primi 10 numeri del sintonizzatore. Al momento si sta studiando tale prospettiva, e ne dovrebbe derivare un provvedimento. Sarebbe auspicabile che anche la legge desse indicazioni su questo punto.

PRESIDENTE. La ringrazio, ingegner Fantola.
Do ora la parola al dottor Giovanni Mazzoni, direttore di Rete Sette.

GIOVANNI MAZZONI, Direttore di Rete Sette. Vorrei solo centrare due particolari argomenti.
Credo che il settore abbia necessità di una razionalizzazione, visto che ha attraversato ormai trent'anni di storia e grandi cambiamenti non ne sono mai avvenuti. A mio avviso,

 

 

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con questa legge e anche per effetto della particolare situazione tecnica, ossia l'avvento del digitale, si creerà la possibilità di operare tale riorganizzazione.
Il fatto che esistano 585 emittenti può essere positivo dal punto di vista del pluralismo, ma ciò non toglie che siano troppe - per essere molto concreti e stringenti. Non lo dico a vantaggio o a svantaggio di qualcuno. Ci possono essere dei parametri oggettivi che mettono in discussione tutti - questo senza dubbio -, ma un paese non può continuare ad avere 585 emittenti, che non rappresentano un pluralismo, ma una pluralità di voci priva di veri elementi di qualità. Non credo che la richiesta di qualità sia assoluta, ma è assolutamente necessaria per salvaguardare almeno le professionalità di chi vi lavora.
A mio giudizio, dunque, la legge dovrebbe prendere in esame la possibilità di razionalizzare la presenza delle emittenti locali, perché oggettivamente sono troppo numerose.
In secondo luogo, si rende necessaria un'ulteriore certezza, quella per le imprese. Le imprese delle televisioni locali, infatti, sono quasi le uniche nel territorio italiano a non avere la minima sicurezza del domani, perché qualsiasi cambiamento può inficiare la loro attività.
Vi cito, a titolo d'esempio, la legge varata con la finanziaria che ha consentito di regolarizzare i precari, ossia i lavoratori con contratti co.co.co e a progetto. A questo proposito, l'INPGI, l'ente di previdenza dei giornalisti, sostiene di non voler applicare tale provvedimento alle televisioni locali. Francamente, ho l'impressione di trovarmi in un paese che applica due pesi e due misure a seconda delle situazioni.
Non credo che i lavoratori con contratto co.co.co siano numerosi in Italia - gli altri contratti sono co.co.pro. - e, sostanzialmente, si tratta di professionisti, giornalisti compresi.

 

 

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Ebbene, l'INPGI afferma di non voler applicare il criterio stabilito dalla legge italiana - perché di legge si tratta - volto a regolarizzare la posizione dei precari secondo quei parametri.
In diverse occasioni, ho chiesto di avere spiegazioni. Ribadisco la mia domanda anche in questa sede, perché credo che le televisioni locali abbiano il diritto di regolarizzare le posizioni del proprio personale - parliamo di 40 giornalisti, non di due o tre - e di avere delle certezze. Se non si sa quali norme si devono applicare, non vedo come si possa procedere.
La prima richiesta che deve essere posta con forza dalle televisioni locali all'interno di questa nuova legge è la necessità di certezza, di sicurezza. Si può anche nutrire il dubbio che qualcuno sia penalizzato più di altri, ma si deve sapere almeno in quali acque si deve navigare. Se si avanza sempre in mare aperto senza sapere dove approdare, francamente non riesco a capire a quale futuro possa andare incontro il settore.
In occasione della precedente audizione, avevo sostenuto la necessità di coinvolgere le televisioni locali nei diritti televisivi, che vengono esercitati non tanto in funzione di un diritto proprio, quanto dell'alienazione di un diritto altrui. In alcuni casi vengono utilizzati dei diritti acquisiti per un intero campionato - viene trasmessa una sola partita, mentre le altre non vengono mandate in onda - solo per impedirne il diritto. Il basket - la cui trasmissione è esclusivamente satellitare - è un classico esempio in tal senso, ma si pensi anche agli sport minori.
Quest'anno abbiamo sottoscritto un accordo con la Lega di serie B di basket, per trasmettere le loro partite. Non avendo ottenuto risposta da Sky e dalla Rai, infatti, non avevano

 

 

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alcuna possibilità di mandare in onda gli incontri delle squadre. Credo, comunque, che vi sia la possibilità di regolarizzare anche questo aspetto.
Per quanto riguarda la serie B di calcio, ricordo che questa non ha il digitale terrestre. Si parla tanto di problematiche relative agli stadi, ma proprio non capisco perché la serie A possa trasmettere le partite tramite il digitale terrestre, potendo cedere dunque i relativi diritti, mentre la serie B - per la quale penso il discorso possa equivalere - ha soltanto il diritto satellitare, con il diritto per il digitale terrestre che non è ceduto a nessuno. Anche questo è un fenomeno strano, difficile da capirsi. Si dice che il contratto scritto con Sky citi questo aspetto; ma credo che la legge sia sovrana e quindi dovrebbe essere chiara anche su questi punti.
Ho rappresentato alcune delle situazioni che ritengo possano essere valutate durante l'esame di questa nuova legge che, sicuramente, troverà un importante conforto nel grande cambiamento dal punto di vista tecnologico.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Mazzoni.
Do la parola al signor Fabio Daddi, amministratore delegato di Telegranducato.

FABIO DADDI, Amministratore delegato di Telegranducato. Condivido appieno i due ultimi interventi che sono stati abbastanza esaustivi per quanto riguarda la posizione - a grandi linee - di tutte le televisioni.
Un riferimento personale legato al disegno di legge Gentiloni riguarda le frequenze che si dovrebbero liberare, a seguito della riduzione da tre a due delle reti analogiche di Rai e Mediaset.
A mio avviso, la possibilità di utilizzo di tali frequenze andrebbe data a chi le usa in digitale e non in analogico, o

 

 

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al limite in tecnica analogica ai soggetti già presenti sul mercato televisivo, per completare le diffusioni dei propri segnali. Tra l'altro, questi soggetti ne avevano l'autorità, viste le disposizioni di legge precedenti.
Il discorso relativo ai decoder potrebbe favorire lo sviluppo del digitale, ma sicuramente va rivista anche la possibilità di dare incentivi agli editori, affinché effettuino investimenti nel passaggio dall'analogico al digitale. Peraltro - come è stato fatto presente, giustamente - una televisione locale che decide di passare dall'analogico al digitale perde di colpo tutta la pubblicità presente sul mercato.
Per quanto riguarda le emittenti televisive locali, bisognerebbe agire anche per venire incontro a quella che effettivamente è una realtà. Vi è un numero esagerato di emittenti locali che di frequente, più che dare vita ad un pluralismo di informazione, creano un esercito di poveri. Questi ultimi, inoltre, spesso e volentieri sono al soldo del primo imprenditore, magari disinvolto, che dà la possibilità a tali televisioni di sopravvivere.
Se non sbaglio, la legge prevede che per costituire una televisione locale vi debbano essere un minimo di tre dipendenti, che però non sono sufficienti per portare avanti alcun tipo di attività.
Probabilmente, quindi, bisognerebbe porre dei paletti e predisporre, oltre al discorso degli ascolti, anche un bollino di garanzia - lo potremmo definire così -, un qualcosa che vada a premiare programmi magari di contenuto che non possono riscontrare ascolti elevati. Sicuramente, se si trasmette in contemporanea il Grande Fratello e un programma che tratta del recupero dei tossicodipendenti, l'ascolto maggiore sarà sempre registrato dal primo tipo di programmazione.

 

 

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Quindi, la funzione sociale che potrebbero rivestire alcune emittenti all'interno del territorio - conoscendo i problemi in maniera diretta e potendo così fornire una sponda alla risoluzione di alcuni di essi - potrebbe essere mortificata dal fatto di non riscontrare ascolti necessari per poter poi finanziare il programma.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor Daddi.
Do ora la parola ai deputati che intendano formulare domande o osservazioni.

EMERENZIO BARBIERI. Cercherò di essere rapido, formulando domande che, ovviamente, sottendono anche delle opinioni. Le domande - diceva qualcuno - non sono mai neutre.
Devo dire che condivido profondamente quanto detto dall'ingegner Fantola e che sono molto preoccupato per l'atteggiamento assunto dai due governatori che sono stati citati. Se è vero, e non ho motivo di dubitarne, che Soru, oltre a tutti i disastri che ha provocato in altri campi - ma questo appartiene a questioni che esulano da questa sede - pensa addirittura, e con lui la Bresso, di creare una rete regionale, invece che percorrere la strada che l'ingegner Fantola ha indicato, ossia quella di servirsi delle emittenti locali per far transitare e veicolare i messaggi della regione, siamo davvero a rischio delle campane a morto per le televisioni locali.
Senza dubbio, infatti, il sistema - non tanto per l'aspetto pubblicitario, del quale parlerò successivamente - non è in grado di reggere un ulteriore aumento della comunicazione televisiva, soprattutto se tale aumento avviene, come accade per gran parte delle televisioni locali, in analogico, ancora oggi.
Personalmente sono dell'opinione - ha ragione il dottor Mazzoni - che 585 televisioni locali nel nostro paese siano

 

 

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troppe. Quindi, condivido quello che è stato osservato, però dico all'ingegner Fantola che in questo caso si tratta di mettere in piedi - non ho bisogno di suggerirlo io - una grande operazione sindacale, o di lobby, per contrastare disegni di questo genere.
Senza fare ciò che in altri campi sono bravi a fare i sindacati, come ci hanno insegnato, credo che ben difficilmente si possa pensare di frenare questa volontà dei due governatori. Le chiedo se, da questo punto di vista, ritiene che la mia osservazione sia utile e giusta.
Detto questo, vorrei rivolgere due quesiti all'ingegner Montrone, al quale sono legato da amicizia da tanto tempo, quindi mi scuserà se le mie domande appaiono leggermente polemiche.
L'ingegner Montrone scrive - più che dire scrive, perché ho letto l'appunto che egli ci ha consegnato - che l'Italia rischia di diventare un paese da colonizzare, in quanto nella grande distribuzione ci sono e ci saranno sempre più prodotti stranieri, meno prodotti italiani e ancor meno prodotti locali.
A tal proposito, chiedo se questa valutazione debba essere agganciata alle tre pagine precedenti, se tale situazione dunque debba essere considerata derivante dal duopolio televisivo. Questo quadro, tuttavia, è determinato dal fatto che l'Italia fa parte dell'Europa, non dal duopolio televisivo. Quindi, non colgo proprio alcuna correlazione - mentre la percepisco di più per le piccole e medie industrie - con il fatto che siamo colonizzati.
Ricordo all'ingegner Montrone che in un settore che ha poco a che fare con quello delle televisioni, ossia quello delle banche, per evitare di essere colonizzati, fino al tempo della carica del Governatore Fazio, veniva impedito d'autorità

 

 

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l'acquisto, creando una situazione che era ai limiti del grottesco, come poi la vicenda della Banca Antonveneta ha dimostrato.
Ingegner Montrone, lei rafforza questa convinzione, quando nel passaggio successivo della sua relazione scrive che il primo effetto del duopolio televisivo è quello di penalizzare le aziende nazionali a vantaggio di quelle straniere. L'ingegner Montrone sa che l'Unione europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, perché un ministro un po' sprovveduto, che risponde al nome di Di Pietro, ha bloccato la fusione tra Abertis ed Autostrade.
Voglio dire, insomma, che è necessario che anche le televisioni locali, compresa Telenorba, capiscano che siamo in Europa.
Mi consenta, infine - ed è l'ultima notazione -, di dissentire radicalmente su un punto della sua esposizione. Quando sento che qualcuno invoca decreti legge, anziché disegni di legge, mi preoccupo. Infatti, seguendo questa strada, si sa bene dove si comincia, ma non si comprende altrettanto bene e non si ha consapevolezza di dove si possa finire.
D'altra parte, questo Governo, rompendo con l'Associazione nazionale magistrati, ha scelto, con il ministro Mastella, di non emanare alcun decreto, per modificare la riforma Castelli, ma di presentare un disegno di legge per discutere con il Parlamento. Infatti, se lo schema del decreto legge che lei suggerisce fosse vero, non capisco quale possa essere il contributo che il Parlamento possa dare su un tema tanto delicato.

MARIO BARBI. Volevo approfittare di questa occasione, di questa presenza così rappresentativa di televisioni locali - direi di medie dimensioni, perché parliamo di emittenti a diffusione regionale o pluriregionale -, per avere qualche

 

 

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informazione in più su alcuni aspetti, in particolare sulla pubblicità. Vorrei sapere quale pubblicità trasmettete e quali effetti possono avere le misure che sono oggetto della nostra discussione sul mercato pubblicitario televisivo, riferito alla televisione terrestre.
Vi è poi un ulteriore elemento che vorrei chiarire, vale a dire come vi rapportate - mi riferisco nello specifico alla vostra emittente - con la transizione al digitale. Che intenzioni avete in proposito? Come vi state preparando, o che cosa avete già fatto in questo senso?
In tema di diritti, invece, con particolare riferimento agli eventi sportivi, vorrei capire meglio qual è la situazione. Mi chiedo se avete delle proposte che possano tenere conto, in modo differenziato, dell'esistenza di un mercato dei diritti e degli eventi sportivi che potremmo definire primario - parlo della serie A - e di un mercato locale.
È chiaro poi che Telenorba ha nel proprio territorio di diffusione squadre che giocano in tale campionato, ma mi sembra difficile intervenire in questo settore oltre il diritto di cronaca, che pure è previsto.
Per quanto riguarda invece gli eventi sportivi effettivamente a carattere locale, nel territorio di diffusione delle emittenti, chiedo quali condizioni esistono per questo tipo di eventi e se possono essere immaginati mercati secondari dei diritti.
Che cosa si può ideare per rendere più facile, o più efficace, il lavoro di offerta di contenuti, ma anche di informazione e di intrattenimento, alle popolazioni servite?
Da ultimo affronto l'argomento Auditel, in relazione al quale vi domando se siete soddisfatti ed, eventualmente, che cosa si può migliorare.

DAVIDE CAPARINI. A proposito dei diritti sportivi, quindi dei contenuti premium, vorrei capire se la formulazione a cui

 

 

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questa Commissione è arrivata dopo un lungo dibattito - mi riferisco alla formulazione del diritto di cronaca per i contenuti sportivi - possa essere ritenuta positiva da parte delle emittenti locali.
Anche noi, come Lega Nord, siamo preoccupati in modo particolare dall'invasività della Rai, in un mercato che da sempre è appannaggio delle emittenti locali.
Devo dire che una parte della responsabilità di tale situazione è da attribuire anche alla maggioranza della scorsa legislatura. Infatti, approvando la legge Gasparri, abbiamo dato uno spazio - a mio avviso eccessivo - alla concessionaria pubblica nella stipula di convenzioni con gli enti locali e, in particolar modo, con le regioni.
Sono sicuro che ci siano tutti i presupposti per apportare dei correttivi, che possono essere già messi in campo in sede di approvazione del nuovo contratto di servizio, allorquando si possono definire, o comunque circoscrivere, gli ambiti di intervento e di accordo della Rai.
Desidero quindi sapere a tale proposito se da parte delle emittenti locali - che so avere una grande capacità di mobilitazione, anche a livello parlamentare - sia stata prestata attenzione a questo aspetto, proprio nel momento in cui la Commissione bicamerale di vigilanza sta approvando il contratto di servizio, che poi passerà al vaglio definitivo del ministro delle comunicazioni, e che quindi è ancora ampiamente emendabile.
L'ultima questione che vorrei sollevare è quella della completa inaffidabilità dell'Auditel a livello locale. Abbiamo verificato - chi opera nel settore televisivo locale lo sa - che il dato Auditel può essere attendibile per un periodo di tempo di circa un mese, e nell'ambito sicuramente dei contatti e della copertura del segnale. Dopodiché, se si prendono in considerazione

 

 

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gli ascolti medi, o comunque i contatti giornalieri, si riscontra la presenza di falle e lacune evidenti per chi opera nel settore. A vostro parere, quali correttivi - se ce ne sono -, anche di carattere tecnico, è possibile introdurre?

ANTONELLO FALOMI. Nel corso di precedenti audizioni, è stato affermato che le televisioni locali attrezzate per la conversione dall'analogico al digitale non sono poi molte, e che quindi è necessario prospettare un piano di riorganizzazione del settore di tali emittenti che consenta - diciamo così - nel modo meno traumatico possibile tale passaggio.
In particolare, è stata prospettata una riorganizzazione delle televisioni locali che prevede, sostanzialmente, l'utilizzazione di metà delle frequenze locali, attraverso la loro aggregazione, per realizzare altre 12 reti nazionali e 5 reti locali, con bacini regionali e con un'ottima copertura.
È stata prevista, inoltre - secondo quanto prospettato in altre audizioni - la possibilità di trasformare quegli operatori locali che non sono in grado di reggere il processo di conversione al digitale in editori locali, fornitori di contenuti.
Infine, per gli operatori che proprio non riescono a sopportare tale passaggio, si è stabilito di considerare qualche forma di ristoro economico da parte dello Stato.
Vorrei sapere qual è a vostro avviso il grado di fattibilità di un'operazione di questo genere e quali problemi si pongono per le emittenti locali, nel passaggio dall'analogico al digitale.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri interlocutori per una replica.

LUCA MONTRONE, Rappresentante di Alpi e Telenorba. Vorrei dire all'onorevole Barbieri che personalmente ho una certa esperienza del mondo della grande distribuzione. Conosco

 

 

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molto bene quel settore - raggiungevo un centinaio di miliardi di fatturato - e dunque so bene ciò che dico.
Riconfermo che il duopolio Rai-Mediaset - adesso spiego anche il meccanismo - comporta di fatto un affossamento delle piccole e medie aziende italiane, in quanto esse non riescono a vendere i propri prodotti. Ad esempio, non riescono ad entrare nella grande distribuzione.
Quando avevo quel cappello, a capo di tante piattaforme, mi capitava di trattare un prodotto che veniva dall'Europa - avevo marchio «A & O» - sul quale avevo un ricarico del 31 per cento, ma nessuno mi poteva dire che era caro, perché il prezzo era lo stesso ovunque. Poiché i prodotti italiani avevano un ricarico più basso, chiaramente il mio interesse era quello di vendere il prodotto straniero. Se un prodotto locale aveva un prezzo ancora inferiore, avevo tutto l'interesse a vendere quel prodotto, in quanto mi permetteva di avere un maggiore ricavo. Di conseguenza esponevo quel determinato prodotto in una certa posizione, a vista, all'angolo, mentre quello italiano, importante, lo collocavo in un posto tale per cui una persona doveva andare a cercarlo, per acquistarlo. Quello locale, invece, non lo facevo neanche entrare. Eppure, rappresentavo una televisione locale.
Ovviamente, minore è il consumo di prodotto locale, minore sarà la produzione di quel prodotto, e maggiore disoccupazione si crea.
Da sempre, abbiamo portato avanti sul nostro territorio campagne gratuite, invitando a consumare prodotti italiani, in quanto, così facendo si contiene l'inflazione. Inoltre, aggiungevamo l'esortazione a optare in particolare per il prodotto locale, poiché tale scelta oltre a permettere il contenimento dell'inflazione, favorisce anche la crescita dell'occupazione.

 

 

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Se consultate i dati ISTAT relativi al personale e alla disoccupazione, noterete che in Puglia, Basilicata e Molise, dove c'è una televisione locale molto forte rispetto a tutte le altre regioni del Mezzogiorno - mi riservo di dare a tutti una copia di questi dati sull'andamento ISTAT degli ultimi vent'anni -, si registra un tasso di disoccupazione minore rispetto a quello di tutte le altre regioni del sud, in una percentuale che va dai 6 ai 10 punti. La televisione locale riesce a fare questo. L'imprenditore deve essere in grado di realizzare un prodotto di buona qualità. D'altra parte, se non è bravo non c'è futuro per lui, ma il resto del compito tocca a noi. Quanto più veniamo compressi, quanto più queste persone vengono compresse, tanto più loro non hanno la possibilità di un futuro. Si è parlato anche di Europa. A tale proposito, sottolineo che le nostre piccole e medie aziende non solo non riescono ad entrare in Italia, ma hanno anche sempre più problemi.
Lo stesso Ciampi, quando ricopriva la carica di Presidente della Repubblica, esortava a consumare prodotti italiani. Tuttavia, un conto è che tale invito venga espresso da me come rappresentante di Telenorba in un contesto italiano e da parte di un privato; ma che un suggerimento del genere venga dal Presidente della Repubblica in un contesto europeo, non è corretto. Eppure, era talmente necessario che egli ha sentito il dovere di esprimerlo.
Del resto, esiste veramente un rilevante problema in merito alla grande distribuzione, che è collegato alle reti nazionali che hanno stretto contatto con loro, per far crescere i consumi dei prodotti italiani e stranieri.
Se l'azienda italiana si reca in Europa, paga la pubblicità il doppio - il fatturato globale italiano è di 9 miliardi, in Francia di 18 miliardi, e in Germania di 18,8 miliardi -; di

 

 

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contro, se gli stranieri vengono in Italia, pagano la metà. Di conseguenza, è ovvio che le nostre italiane non riescano ad andare in Europa. Peraltro, bisogna considerare che in Italia, ne abbiamo una cinquantina, di cui soltanto sei sono a maggioranza di capitale italiano.
Tale situazione chiaramente si ripercuote anche sulle grandi aziende nazionali che non riescono a farsi spazio in Europa. Insomma, siamo diventati terra di conquista.
L'altro argomento che è stato sollevato riguarda i diritti sportivi. A tale proposito, vi rimando alla memoria scritta che vi ho consegnato, nella quale mi sono dilungato molto su questo argomento. Quindi, anche per avere modo di parlare dell'Auditel, mi limito a ribadire quanto ho già affermato.
Nella documentazione, è spiegato anche il motivo per cui si chiede un decreto. È stato emanato un decreto per impedire alle società di vendere biglietti in blocco ai tifosi? Bene, si vari un altro decreto per fare in modo che le partite fuori casa possano essere trasmesse dalle televisioni locali. Faccio presente che sto parlando di una situazione provvisoria e di emergenza.
Venendo all'Auditel, sottolineo che molti non sanno che esso nasce da determinate esperienze, e dal lavoro di alcuni scienziati, ma anche da un confronto internazionale, dall'assemblea internazionale degli scienziati di statistica.
Ero presente a Salsomaggiore, quando si è tenuto il convegno di confronto sull'Auditel. Vi partecipavano 600, 700 cattedratici provenienti da università italiane, francesi, tedesche, spagnole. Ebbene, all'epoca, quella dell'Auditel fu considerata un'indagine priva di fondamenti scientifici.
Ad ogni modo, va considerato che la società di rilevazione Auditel ha avuto il coraggio di sottoporsi al giudizio di una

 

 

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decina di scienziati di statistica, per sapere quali correzioni apportare al suo metodo di indagine e, in seguito, ha applicato tali modifiche.
Lo stesso non può dirsi per Audiradio che, personalmente, ritengo priva di fondamenti scientifici. Continuo a confermarlo, non riesco a confrontarmi con tale organismo, che del resto non si preoccupa di inviare documenti ad alcuno scienziato per verificare la fondatezza delle sue analisi.
Tornando all'Auditel, riconosco che tale strumento potrebbe essere migliorato ancora di più, tuttavia, dopo che sono stati effettuati i ritocchi a cui accennavo precedentemente, esso funziona. Probabilmente, coloro che non registrano ascolti elevati sosterranno il contrario, ma non è così.
Per quanto ci riguarda, all'epoca, facevamo quarantamila telefonate al mese - immaginate quante possano essere nell'arco di un anno - e riscontravamo di avere le medesime curve di ascolto segnalate dall'Auditel. In questo momento, tra l'altro, sto conducendo un'indagine in Puglia, perché mi piace sempre controllare la situazione.
Comunque, non è vero che l'Auditel misura solamente i valori di coloro che si sintonizzano casualmente - questo è il contatto -, esso registra il valore reale sul minuto medio, comunica il numero delle persone che effettivamente hanno visto il programma.
Sicuramente l'Auditel non è attendibile se si prende in considerazione mezz'ora di un particolare giorno - ma d'altra parte nessuna indagine riuscirà mai a misurare quel dato, ci vorrebbero risorse infinite -; se invece parliamo del mese sul minuto medio, la rilevazione è affidabile.
Avendo confrontato questo dato con quarantamila telefonate, posso dire che l'Auditel è attendibile se si considera il minuto medio, le singole fasce del mese.

 

 

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CARLO IGNAZIO FANTOLA, Vicepresidente di Videolina. Le domande che sono state poste sono numerose, quindi il dibattito si potrebbe protrarre moltissimo.
Personalmente, mi concentro su quello che considero il bersaglio grosso, ossia l'osservazione svolta dal vicepresidente in merito all'emittenza pubblica regionale in fieri, perché ritengo che questo sia un problema politico di grandissima rilevanza che viene sottovalutato dai partiti.
Il presidente D'Alema, quando fu varata la legge D'Alema-Maccanico, e successivamente la controparte, ossia quando il polo varò la legge Gasparri, a mio avviso avevano una visione chiara del rischio a cui si poteva andare incontro. Quindi, entrambe le parti hanno visto il rischio nella stessa misura, e hanno cercato di sbarrare il passo a queste iniziative.
Purtroppo, l'esempio adesso ci viene da questa nuova fase politica che sta attraversando l'Italia, ossia quella della trasformazione delle regioni in nuove marche medievali, nelle quali esistono dei «dittatori» che tutto possono e tutto vogliono fare.
Allora, mettere nelle mani non tanto della Bresso, che essendo un uomo, una donna di partito ha dei limiti, per così dire, costituzionali in testa...

EMERENZIO BARBIERI. È una donna!

CARLO IGNAZIO FANTOLA, Vicepresidente di Videolina. L'ho detto: una donna! Mi sono corretto. Un uomo di partito si può anche dire, ormai parliamo di un unico sesso. Ormai siamo un unico sesso tutti quanti, quindi...

ALBA SASSO. No, assolutamente no!

CARLO IGNAZIO FANTOLA, Vicepresidente di Videolina. Scusi, signora. Scusi se ho fatto questa osservazione.

 

 

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ALBA SASSO. Non posso permettere il termine «dittatore»!

EMERENZIO BARBIERI. Non è un'offesa. Avete detto certe cose su Berlusconi!

CARLO IGNAZIO FANTOLA, Vicepresidente di Videolina. Presidente, ritiro l'osservazione. Ad ogni modo, la signora Bresso, essendo una donna di partito - scusatemi se entro nel merito di questi dettagli politici - ha dei riferimenti costituzionali e via dicendo.
L'imprenditore prestato alla politica che va a fare il «dittatore» in una regione, invece, perde contatto con il terreno (Commenti)... Appartengo ad un'altra generazione e sono tenuto a rispettare l'osservazione della signora, quindi ritiro quello che ho detto. Cercherò di esprimermi in maniera diversa.
La questione, purtroppo, consiste nel fatto che chi non viene dalla politica, e si trova a governare una di queste marche, segue dei criteri che non sono quelli della politica.
Il problema di questo tipo di governatori è quello di avere un'informazione non omogeneizzata. Quindi, volendo ottenere un'informazione omogeneizzata, stanno cercando di creare un canale di informazione regionale. È naturale.
Personalmente, svolgo lo stesso mestiere di Soru. Se andassi a governare una regione, mi comporterei nello stesso identico modo. Infatti, per realizzare i suoi obiettivi, ha bisogno anche di un canale informativo.
D'altra parte, però, sono anche un partitocratico di ritorno...

PRESIDENTE. Ci sono anche esempi nazionali!

CARLO IGNAZIO FANTOLA, Vicepresidente di Videolina. Sì, però lei immagini la moltiplicazione per tutte le regioni

 

 

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italiane di questo «manicomio». Direi che questo è un fenomeno che il Parlamento italiano dovrebbe bloccare sul nascere.

GIOVANNI MAZZONI, Direttore di Rete Sette. Intervengo rapidamente, per rispondere ad alcuni quesiti, anche di carattere tecnico, che sono stati proposti. Mi riferisco, ad esempio, alla transizione dall'analogico al digitale, e a ciò che essa comporta.
A tale quesito, rispondo che non succede niente di particolare, eccetto il fatto che il piano, così come è proposto, non è attuabile. Tecnicamente non è possibile far convivere digitale e analogico, come si pensa. Infatti, dal punto di vista tecnico, dove lo abbiamo sperimentato, vi sono troppi conflitti, troppe difficoltà. Per essere concreti, vi riporto un esempio. Se Canale 5 accende un canale a Reggio Emilia e un'altra emittente ne accende uno a Parma, spariscono entrambi. Quindi, tecnicamente, occorrerà attuare un passaggio più complesso.
Per fare questo, però, sarebbe necessario che la legge recepisse un elemento essenziale - in riferimento al quale il nostro paese registra ancora un forte ritardo -, ossia il fatto che gli impianti in Italia soltanto al nord sono grandemente centralizzati. Nell'altra parte del paese, di norma, sono impianti singoli.
Bisogna assolutamente favorire la centralizzazione degli impianti, non solo del condominio, ma anche di aree e di quartieri. Solo così, infatti, si potrà realizzare una vera transizione nelle nuove tecnologie, non solo, essenzialmente, dall'analogico al digitale. Tuttavia, se la legge non dà almeno l'invito a favorire la centralizzazione degli impianti per quartieri, rischiamo di rimanere, ancora una volta al palo e indietro.

 

 

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Per quanto riguarda l'Auditel, dico che non c'è affidabilità solo perché vuole dare un risultato certo al secondo. Una tendenza potrebbe anche essere accettata.
Quanto alla pubblicità che trasmettiamo, sottolineo che la raccogliamo casa per casa, negozio per negozio, perché è solo questa che resta alle televisioni locali.

FABIO DADDI, Amministratore delegato di Telegranducato. Per quanto riguarda la preoccupazione data dai governatori che vogliono realizzare le proprie televisioni, per poi scendere anche alle province, faccio presente che abbiamo degli esempi in tal senso anche in Toscana, a Prato ad esempio.
Effettivamente, le televisioni locali soffrono questo tipo di situazione, in modo specifico quelle che si sono orientate verso un tipo di televisione non strettamente commerciale, ma di servizio. Parliamo di un tipo di emittenza che, spesso e volentieri, in coproduzione con le istituzioni locali, trova anche degli spazi per la realizzazione di programmi di un certo interesse per il territorio. Quindi, questa preoccupazione esiste.
Tale situazione, inoltre, fa sì che le televisioni locali siano costrette a realizzare i propri fatturati anche basandosi su questi tipi di produzioni, oltre che su quella pubblicità raccattata - appunto, col coltello fra i denti, come diceva precedentemente il collega - sul territorio.
Per quanto riguarda il tipo di investimenti effettuati per la tecnica digitale, dico che abbiamo utilizzato la possibilità di avere un canale - chiamiamolo secondario - che copre solamente la provincia di Livorno e Pisa e che utilizziamo 24 ore su 24.

 

 

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Tra l'altro, abbiamo anche presentato la domanda relativa ai fornitori di contenuti e proprio dalla scorsa settimana stiamo trasmettendo un programma diverso da quello che va in onda sull'analogico.
Quindi, il bouquet del digitale presenta la replica di ciò che si trova sull'analogico, oltre a un secondo canale dedicato 24 ore su 24 all'informazione. È un rullo continuo.
Per quello che riguarda i diritti televisivi, effettivamente è auspicabile che anche per la serie B - come per la serie A - ci siano delle forme di collaborazione, di coproduzione tese ad andare incontro alle eventuali situazioni create dai decreti varati di recente in materia di sicurezza negli stadi.
Quindi, sarebbe opportuno dare la possibilità anche alle squadre di serie B di trasmettere in digitale gli incontri e coinvolgere le televisioni che sono già pronte a fornire questo tipo di offerta. Anche questo, chiaramente, è uno stimolo in più che si può dare allo sviluppo della tecnica digitale nel nostro territorio.

PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti delle emittenti locali per l'importante contributo che hanno dato ai nostri lavori.
Dichiaro conclusa l'audizione.

 

Audizione di rappresentanti di FIEG, FNSI, MediaCoop, USPI e UCSI.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul disegno di legge C. 1825, recante disposizioni per la disciplina del settore televisivo nella fase di transizione alla tecnologia digitale, l'audizione di rappresentanti di FIEG, FNSI, MediaCoop, USPI e UCSI.

 

 

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Do il benvenuto ai nostri ospiti; cominciamo subito le esposizioni secondo la nostra consuetudine, iniziando dall'ambasciatore Boris Biancheri, presidente della FIEG, accompagnato dal segretario generale, Carotti , e dal dottor Arcangelo Iannasce.

BORIS BIANCHERI, Presidente della FIEG. La ringrazio, presidente, per averci consentito di esprimere le nostre valutazioni in ordine al disegno di legge n. 1825. Le premetto che limiterò le nostre osservazioni strettamente al campo del rapporto e delle conseguenze che questo disegno di legge può comportare sul settore dell'editoria, in particolare sul settore della carta stampata, che io qui rappresento. Il disegno di legge ha portata assai vasta, tocca anche temi che esorbitano dai diretti interessi della Federazione degli editori dei giornali, ma su quelli io non ho da fare valutazioni in questa sede.
Venendo allo specifico punto delle conseguenze che noi traiamo dall'esame di questo disegno di legge, in relazione ai problemi che l'editoria della carta stampata attraversa, mi permetto di sottolineare che la carta stampata sta attraversando momenti di grande trasformazione e di grande difficoltà. Non soltanto in Italia, ma in ogni parte del mondo si sta verificando un processo di profonda trasformazione dell'editoria in genere. Al centro di tale processo troviamo la carta stampata. Questo disegno di legge ha quindi un'importanza straordinaria, in quanto tocca una delle fonti importanti di ricavo per la carta stampata, cioè la pubblicità. In termini generali, io direi che questo disegno di legge costituisce sicuramente un progresso rispetto alla legge attualmente in vigore.
Mi soffermerò brevemente su alcuni punti: la ridefinizione del SIC; l'inclusione delle telepromozioni nell'affollamento orario; la modifica di alcune procedure sanzionatorie dell'Agcom,

 

 

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che come sappiamo non avevano trovato di fatto concreta applicazione. E, ancora, gli interventi che sono previsti in questa legge per il riequilibrio del mercato pubblicitario. Mi limito a dire che il nostro paese costituisce, da questo punto di vista, un'eccezione tra tutti i paesi europei, per la enorme sproporzione che vede nel mercato pubblicitario tra gli investimenti nel comparto televisivo e quelli nella carta stampata. Il divario, negli ultimi anni, è andato crescendo. Esso ha superato non soltanto il 50 per cento per quanto riguarda il mercato pubblicitario nell'ambito televisivo, ma ha raggiunto ormai il 55 per cento, rispetto al 35-36 per cento della carta stampata. È un fenomeno che non si è verificato in nessun altro paese europeo, con l'eccezione credo del Portogallo, dove esiste una situazione simile. In tutti gli altri paesi, la carta stampata ha ancora la prevalenza nel mercato pubblicitario rispetto alle televisioni o, in ogni modo, mai queste ultime prevalgono nella proporzione che si rileva in Italia. Ciò rappresenta uno dei nodi centrali.
Per quanto riguarda la ridefinizione, anche non soltanto lessicale, del SIC nel settore delle comunicazioni, l'attuale disegno di legge procede a restringere il SIC rispetto a così come è stato conformato dalla legge Gasparri. A nostro giudizio, le risorse di mercato nell'intero settore della comunicazione dovrebbero essere ancora più chiaramente individuate. In sostanza, per quello che riguarda il settore della stampa quotidiana e periodica, tali risorse sono costituite dalle vendite, dagli abbonamenti e dalla pubblicità. Per quanto riguarda Internet, dalle fonti di ricavo Internet (di fatto, al momento attuale, sostanzialmente si tratta solo della pubblicità). Per quello che riguarda l'attività radiotelevisiva, dalla quota del canone, relativa alla concessionaria pubblica evidentemente,

 

 

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dai ricavi pubblicitari - ne ho parlato un momento fa - e dagli abbonamenti per le televisioni a pagamento.
Questo è di fatto, realmente, il mercato. Credo che potrebbe anche essere individuata una più precisa identificazione dei termini di questo mercato.
Per quanto attiene ai limiti della raccolta pubblicitaria televisiva, ho indicato prima come questo costituisca un settore certamente vitale per gli interessi della carta stampata. Qui mi limito a dire che la carta stampata non è soltanto un settore produttivo, è anche un settore chiave per la cultura del paese. I rischi del declino dei ricavi, nell'ambito della carta stampata, non sono teorici, o prevedibili, bensì un qualcosa che si sta verificando in molti paesi e a cui occorre porre rimedio fintanto che c'è tempo, non quando il danno è già irrimediabile.
Per ciò che riguarda la normativa in materia di affollamenti pubblicitari, vediamo con favore l'assimilazione delle promozioni alla disciplina degli spot.
Le telepromozioni sono una forma di pubblicità e da tutti gli operatori, in tutti i paesi europei, sono considerate come tali. Per questo, il limite orario del 18 per cento per ogni ora di programmazione deve valere per ogni forma di pubblicità. Quindi, le telepromozioni devono tornare essere incluse nell'affollamento orario, così com'era d'altronde prima dell'ultima legge.
Pensiamo che sarebbe opportuno considerare l'introduzione di limiti antitrust nella raccolta delle risorse economiche del mercato dell'emittenza televisiva, che erano stati abrogati dalla legge Gasparri, tanto più in quanto le concessionarie di pubblicità sulla carta stampata sono soggette a stringenti limiti - come sappiamo, infatti, non possono raccogliere più di un

 

 

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certo tetto di pubblicità i quotidiani la cui tiratura complessiva superi il 30 per cento di quella nazionale - mentre le concessionarie di pubblicità televisiva sono sottoposte esclusivamente a una verifica ex post rispetto alle posizioni dominanti di mercato. Quindi, evidentemente sono soggette a limiti assai meno stringenti di quelli cui sono sottoposte le concessionarie di pubblicità della carta stampata.
Da ultimo, sollevo un tema che è ancora aperto al dibattito in sede europea e che nasce dalla direttiva «Televisioni senza frontiere», per quello che riguarda la disciplina del cosiddetto product placement, la pubblicità occulta (se così vogliamo dire, ma di fatto lo è).
Non abbiamo ancora una chiara visione di come questo dibattito si concluderà in sede europea: se attraverso la formula cosiddetta opt-in o opt-out, cioè se la pubblicità occulta è genericamente vietata, salvo casi esplicitamente consentiti, o se tale tipo di pubblicità è genericamente ammessa, salvo casi esplicitamente vietati.
Non parlo soltanto degli interessi degli editori: credo che l'introduzione di limiti sia una questione di interesse generale. Conosco gli argomenti che sono addotti in sede europea a favore di questa forma pubblicitaria particolarmente insidiosa: quello della concorrenza che i prodotti europei, soprattutto di carattere televisivo, subiscono da parte di altri prodotti extraeuropei, che si avvantaggiano di questa forma di pubblicità. Quali che siano gli argomenti che vengono addotti - ho avuto personalmente diverse occasioni per discuterne con il commissario Reding, che ne è in realtà l'ideatore e il promotore straordinariamente appassionato - ritengo che essa vada in senso contrario sia ai nostri interessi, sia agli interessi nazionali.

 

 

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È evidente che questo disegno di legge dovrà risentire di quale delle due formule europee passerà, e quindi subire i necessari adattamenti.
Queste sono le osservazioni che ritenevo di fare. Mi sono limitato al campo strettamente degli interessi della carta stampata, in ordine a questo disegno di legge.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Serventi Loghi, segretario generale della Federazione nazionale della stampa, accompagnato dal dottor Franco Siddi, presidente.

PAOLO SERVENTI LONGHI, Segretario generale della FNSI. Mi scuso per la voce e per il raffreddore, mali di stagione!
Innanzitutto un apprezzamento di metodo. Noi riteniamo che non possa esserci una buona legge senza un serio confronto con le rappresentanze del settore. Mi sembra importante che le Commissioni stiano procedendo a vaste audizioni delle organizzazioni rappresentative.
Il mondo del lavoro chiede di contare, in un ambito che troppo spesso ha coinvolto le sole forze politiche e le organizzazioni dell'impresa, anche se alcune delle cose che il presidente Biancheri ha detto prima siano condivisibili.
Mi sembra che il metodo sia apprezzabile, anche per quanto riguarda altri provvedimenti che il Governo ha presentato, o si accinge a presentare e che completano un disegno riformatore in tutto il sistema della comunicazione.
Penso alle linee generali sui criteri di nomina del consiglio di amministrazione della Rai e alle riforme di editoria, oggetto in questi giorni proprio di una vasta consultazione del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Levi.
Da anni la Federazione della stampa e il sindacato unitario dei giornalisti, chiedono una seria riforma del sistema radiotelevisivo, nell'ambito dalla riforma della comunicazione.

 

 

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Noi ci siamo strenuamente battuti per cercare di evitare quegli elementi della legge Gasparri che, a nostro avviso, hanno attenuato i limiti antitrust nell'emittenza ed hanno disegnato un servizio pubblico privatizzato o, per meglio dire, in una prospettiva, per noi non accettabile, di privatizzazione. Noi chiediamo che le nuove regole, naturalmente, pongano al centro la tutela e lo sviluppo del pluralismo dell'informazione.
Come ha detto recentemente il presidente dell'Agcom, il dottor Calabrò, il pluralismo è un bene primario anche rispetto alla libertà di iniziativa economica delle imprese.
Noi auspichiamo e siamo d'accordo sulle linee guida del progetto e su una ripartizione delle risorse economiche più equilibrata dell'attuale.
Consideriamo l'attuale sistema bloccato e squilibrato e valutiamo anomalo, rispetto al quadro esistente in Europa, il rapporto italiano tra gli investimenti pubblicitari che vanno alla televisione e quelli destinati alla carta stampata. Nel disegno di legge sono introdotti limiti che possono essere condivisi, rispetto alla situazione definita dall'attuale legislazione.
L'intervento legislativo può essere l'occasione per l'apertura dei mercati. Secondo noi deve portare l'Italia fuori da un duopolio televisivo che ha, bene o male, fino ad oggi compresso, o reso assai difficile, lo sviluppo della TV analogica. Così come deve impedire la riproposizione del duopolio nel digitale terrestre e aprire il monopolio che si è già determinato nel digitale satellitare.
Sul digitale terrestre noi abbiamo espresso in passato preoccupazioni riguardo al disegnare un sistema già definito, prima ancora che fosse attivo, prima ancora che lo switch-off fosse realizzato. Certamente una revisione delle norme, una apertura dei canali sul digitale terrestre, rendono questo

 

 

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strumento finalmente utilizzabile. Anzi, a questo punto, noi potremmo anche rivendicare, laddove sia realizzabile, un'accelerazione del processo di passaggio al digitale.
Naturalmente noi siamo sempre convinti della necessità di separare i contenuti dalle reti; siamo preoccupati, come l'ambasciatore Biancheri, per la direttiva europea «Televisioni senza frontiere», per gli aspetti di allargamento della base pubblicitaria sulle televisioni che essa può comportare, e quindi di restringimento degli altri media.
Tornando al passaggio al digitale terrestre, da imboccare con maggiore decisione, secondo noi occorre ridurre i tempi della fase di transizione che, se troppo lunga, rischia di non indurre gli operatori a scelte nette e irreversibili. Mi riferisco tanto gli operatori attuali della TV, quanto a tutti gli altri soggetti della comunicazione, visti gli intrecci crescenti che saranno determinati dalla convergenza multimediale.
A questo riguardo, riteniamo che, in coerenza con l'impianto complessivo della riforma, sia le frequenze che Rai e Mediaset dovranno liberare, quando una ciascuna delle loro reti dovrà lasciare l'analogico, sia le altre frequenze che comunque si renderanno disponibili, non siano assegnate a un altro operatore analogico.
Se questa possibilità non venisse esclusa, infatti, si darebbe un segnale negativo, e cioè che il passaggio al digitale può ancora attendere, che il digitale non sia lo strumento in cui si registra il pluralismo dell'informazione.
La nuova legge dovrebbe prevedere, secondo noi, un riferimento specifico alla produzione di informazione, alla presenza del lavoro giornalistico, ai criteri rilevanti per l'attribuzione delle concessioni, così da arrivare a un'informazione

 

 

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e un giornalismo con garanzie di qualità. Noi pensiamo al modello di quanto già nel 1990 fece la legge Mammì.
Per il sindacato la difesa dell'occupazione del settore rappresenta naturalmente un valore essenziale, ai fini del giudizio sul nuovo assetto prodotto dalla riforma.
Termino con una riflessione: la radio rischia ancora una volta di essere oscurata dalla grande attenzione che si registra sulle televisioni. Sarebbe davvero un errore che la nuova regolamentazione non tenesse conto dei processi di trasformazione anche del sistema radiofonico e dell'importanza dell'informazione nel sistema radiofonico nella società italiana di oggi.

PRESIDENTE. Passiamo ora a MediaCoop, rappresentata da una vasta delegazione composta dal dottor Giancarlo Aresta de Il Manifesto, dal dottor Fabrizio Davoli di Coop7, dal dottor Salani di Legacoop nazionale, dal dottor Sorace di Radio Città futura di Roma, dal dottor Tasca di Novatelevisione di Cagliari e dal dottor Triscorni di Telecittà di Genova.
Do la parola, per MediacCoop, al dottor Giancarlo Aresta de Il Manifesto.

GIANCARLO ARESTA, Rappresentante di MediaCoop. Sarò molto sintetico anche perché abbiamo preparato una nota scritta, che mettiamo a disposizione delle Commissioni.
Vorrei partire da una considerazione di carattere generale: io credo che la discussione e la rapida approvazione di questo provvedimento abbia un valore particolare, poiché nel nostro paese siamo in una congiuntura difficile riguardante il pluralismo dell'informazione.
Noi abbiamo una situazione anomala in campo televisivo, che bisogna aiutare a superare anche attraverso questo

 

 

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progetto di legge - che rappresenta solo una parte dei provvedimenti che andranno presi - in quanto caratterizzata da un regime di duopolio e da una capacità di assorbimento di risorse economiche dell'intero sistema del tutto particolare. Lo diceva già l'ambasciatore Biancheri: il 56 per cento delle risorse nelle mani della televisione significa strozzare la stampa.
Pensiamo al fatto che un solo operatore televisivo, una sola impresa privata in campo televisivo, ha il 40 per cento in più rispetto alla somma delle risorse pubblicitarie di tutti i quotidiani italiani messi insieme: 2600 milioni di euro contro 1780-1800 milioni di euro. Siamo di fronte ad un'anomalia di questo tipo ed il rischio è che non solo i limiti del pluralismo televisivo possano essere confermati, ma che si apra anche un processo - in effetti si è già aperto - tendente a ridurre il pluralismo anche della carta stampata che, invece, ha alle spalle una storia di ben altra ricchezza. In una situazione di risorse deboli, tendenzialmente i gruppi più grandi tendono ad affermarsi, conquistando spazi di mercato, cancellando le altre voci.
Allora, su una situazione di questo genere bisogna agire con molta cautela, anche sapendo che il primo passo, quello mosso dalla legge n. 112 del 2004, è il passo che conferma il ruolo preminente dei soggetti che costituiscono il duopolio. Questi ultimi sono stati protagonisti del passaggio all'analogico. Anche se dovranno liberare e concedere alcune reti, in ogni caso questo passaggio è segnato dall'iniziativa economica ed imprenditoriale dei soggetti del digitale che avevano sul terreno dell'analogico una posizione dominante. Da questo punto di vista, ci sembra opportuna la proposta che dal disegno di legge Gentiloni viene avanzata, di porre un tetto alla possibilità di raccolta di risorse pubblicitarie di ogni singolo operatore.

 

 

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Devo dire che nel giudizio comune dei soggetti aderenti a MediaCoop, che sono cooperative che editano quotidiani o periodici, o che gestiscono televisioni a carattere locale, questo tetto, individuato dalla Gentiloni, è un tetto alto, troppo significativo anche rispetto al passaggio che ci si prepara a compiere. Ora, viene confermata la posizione dei protagonisti dell'analogico e del digitale, poiché sono essi stessi che accompagnano il processo di trasformazione. Dovranno liberare ed affidare alcune reti a produttori di contenuti, ma chiedo: se le risorse restano così concentrate, la creazione di nuove possibilità di comunicazione determinerà un effettivo pluralismo dei soggetti nel campo della produzione culturale e della produzione di informazioni - che sono due questioni centrali - oppure si corre il rischio che l'analogico, per gli altri attori, venga utilizzato prevalentemente per un'attività di servizio o per un'attività pay? Io credo che invece il legislatore debba preoccuparsi anche del fatto che una liberazione di risorse di trasmissione dia la possibilità a nuovi attori di comunicazione e di informazione di intervenire in questo campo.
Quindi, ci pare giusto porre un tetto. Lo ripeto, a nostro modo di vedere è un tetto anche troppo alto rispetto ai problemi che proprio il passaggio al digitale pone. Se vogliamo un riequilibrio di risorse tra TV e carta stampata e se vogliamo che nell'ambito della comunicazione televisiva, tra le varie tecnologie di trasmissione, le risorse vengano divise, bisogna spezzare, in modo anche più incisivo, la catena che crea posizioni dominanti.
Un'osservazione su questo punto. Noi siamo rimasti molto stupiti quando abbiamo visto le posizioni del Garante dell'antitrust. Stupiti, perché ci troviamo di fronte a criteri di giudizio che devono trovare la loro esatta unità di misura. Quando si

 

 

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valuta, nel campo dell'informazione e della comunicazione, una posizione dominante, non si sta discutendo dell'interesse del cittadino utente al miglior costo dei servizi. Anzi, se guardiamo la realtà, chi ha una posizione dominante dà gratis i prodotti comunicativi ed informativi che vengono trasmessi attraverso le sue reti ed i suoi strumenti. Si sta discutendo di una cosa completamente diversa, cioè che è un bene tutelato in Costituzione e che è diritto del cittadino l'essere informato da una pluralità di fonti. Allora, se è questo il valore essenziale che è in gioco, la necessità di definire una garanzia di equilibrio delle risorse, è una necessità essenziale se vogliamo mantenere i nostri obblighi costituzionali.
Desidero concludere con un'ultima riflessione ed una proposta. Siamo in un passaggio molto delicato: la legge Gentiloni accompagna il passaggio al digitale, pone le prime norme di contenimento dello sviluppo di posizioni dominanti, che in televisione sono diventate dominanti dell'intero sistema delle comunicazioni. Però, siamo alle soglie di una nuova legislazione che riguarda la Rai, la sua natura societaria, il suo funzionamento. Siamo già in una fase di partenza interessante, perché si apre con un dialogo e con una raccolta di opinioni su quello che riguarda la legge dell'editoria. Ci troviamo di fronte ad una moltiplicazione delle possibilità di comunicazione che travalica anche il passaggio dall'analogico al digitale. Essa infatti riguarda le possibilità di comunicazione attraverso il web, gli sviluppi che avrà l'informazione e la comunicazione on-line, che sono a tutt'oggi imprevedibili.
Credo che questo ponga problemi molto delicati nella definizione di un percorso legislativo, ma offra anche un'occasione e una chance. Perché non pensare, per iniziativa parlamentare, ad istituire una specie di tavolo che in qualche modo coordini l'azione legislativa su questi singoli aspetti, che

 

 

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sono segmenti di un sistema che va rivisto oggi interamente, se vogliamo fare in modo che il passaggio legislativo, che ci porta verso il 2010 sia tale per cui, agendo su diversi settori, si determini un quadro normativo che favorisca la pluralità dei soggetti, l'arricchimento del pluralismo dell'informazione ed equilibri un sistema che, invece, lo svolgersi della vicenda economica dei big d'Italia ha finito con l'indebolire o con lo strozzare.
Sarebbe utile avere una specie di tavolo parlamentare di confronto e di concertazione, che cominci a immettere i veri pezzi di definizione di una norma di unione di questi aspetti dentro un'ipotesi di quadro sistematico, soprattutto per quanto riguarda le posizioni dominanti le norme antitrust e che riguardi l'intero sistema della comunicazione.

PRESIDENTE. Do la parola all'avvocato Francesco Saverio Vetere, segretario generale dell'USPI, Unione stampa periodica italiana, accompagnato dal dottor Vittorio Volpi.

FRANCESCO SAVERIO VETERE, Segretario generale dell'USPI. Intanto l'USPI esprime apprezzamento per il metodo della consultazione che riteniamo assolutamente opportuno. Mi limiterò ad alcune brevi considerazioni. Innanzitutto, questo disegno di legge ci sembra un tentativo di passo in avanti nella tutela del pluralismo del nostro paese. Soprattutto vorrei porre l'accento sulla norma che riguarda i nuovi principi in materia di rilevazione degli indici di ascolto e di diffusione dei mezzi di comunicazione, che entra in un settore dolente sul quale è opportuno fare chiarezza da parte di un'autorità terza e imparziale, rispetto ai soggetti in campo.
La notazione che facciamo noi, come associazione di editori di periodici, è che questo intervento normativo rende assolutamente indispensabile l'altro, cioè l'intervento sull'editoria.

 

 

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Nel momento in cui desideriamo che questo provvedimento abbia un impatto vero sul settore, non possiamo non intervenire sul sostegno della carta stampata, sulla domanda della carta stampata, sugli investimenti pubblicitari nel settore. Bisognerà, in tempi brevi, a trovare forme di sostegno agli investimenti pubblicitari e alla domanda di prodotti editoriali. Questa mattina ne parlavo con il sottosegretario Levi, con cui condividiamo questo obiettivo. Il Governo e si è impegnato, con una consultazione pubblica, a portare entro giugno un disegno di legge di riforma del settore che tocchi questi punti. Senza questo intervento anche il decreto Gentiloni sarebbe inutile. Ma noi confidiamo che venga approvato nel più breve tempo possibile e lavoreremo per questo.

PRESIDENTE. Ha infine la parola per l'UCSI, Unione cattolica della stampa italiana, il dottor Angelo Sferrazza, vicepresidente nazionale, accompagnato dal dottor Ignazio Ingrao, membro della giunta nazionale.

ANGELO SFERRAZZA, Vicepresidente nazionale dell'UCSI. Come UCSI, ringraziamo per l'invito e apprezziamo questo metodo di discussione, di incontro e confronto. Se il presidente me lo permette, vorrei fare una brevissima premessa di carattere generale che riguarda la nostra associazione. Vorrei sottolineare la peculiarità della nostra associazione, che non è un'azienda, non è un sindacato, né un'associazione professionale, bensì un'associazione di giornalisti che si ispirano ai valori cristiani.
Sinteticamente, potrei dire che l'idea dell'UCSI è venuta da Paolo VI negli anni '50, anche se le radici di questo organismo datavano da prima, ossia dagli anni '30 e '40, ma difficoltà di carattere politico - a tutti comprensibili - non permettevano la nascita di un'associazione di giornalisti. L'UCSI nasce nel

 

 

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1959 e oggi conta più di tremila iscritti, giornalisti della carta stampata, della televisione e comunicatori, ed è organizzata anche su base regionale. La nostra associazione è riconosciuta dalla conferenza episcopale italiana e dunque è un'associazione laicale della CEI. Volevo opportunamente fare questa sottolineatura di carattere storico, in quanto altrimenti non si comprenderebbero il nostro ruolo e la nostra presenza in un'analisi del problema televisivo e delle proposte di legge Gentiloni.
È chiaro che, per la peculiarità della nostra associazione, non possiamo entrare nei termini organizzativi di tipo politico e istituzionale. Volevamo, però, sottolineare alcuni temi di carattere generale.
Nel progetto evidenziamo la grande positività di garantire l'accesso al maggior numero possibile di soggetti. Crediamo fortemente nel pluralismo e ovviamente ci interessa il quadro generale. Quindi, il suggerimento che diamo è quello di tenere sempre conto dei problemi di carattere generale ed etico, sul piano della comunicazione, dell'informazione e dei contenuti del sistema televisivo.
Ogni anno, da sei anni, assieme al Censis presentiamo un rapporto sulla situazione generale della comunicazione in Italia. Abbiamo rilevato che, negli ultimi due anni, il sistema generale televisivo italiano e del complesso della comunicazione è leggermente in ritardo rispetto ad esempio ai paesi dell'area dell'unione europea. Ciò pone, quindi, la necessità, probabilmente, di accelerare il processo di riforma del sistema televisivo.
Un altro dei temi fondamentali è sicuramente quello relativo al problema del servizio pubblico. Nelle nostre analisi, rileviamo che non può verificarsi alcun avanzamento, approfondimento,

 

 

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o allargamento del sistema televisivo del nostro paese, se non si ridiscute, rianalizza e rilancia la funzione della televisione pubblica.
I dati che rileviamo dalla nostra ultima indagine, che abbiamo svolto e presentato tre mesi fa, mostrano che più del 90 per cento degli italiani ottiene l'informazione attraverso la televisione. Questo è un dato estremamente serio. Ora, piano piano, nuovi soggetti di informazione si stanno presentando, Internet, i blog e via dicendo. Tuttavia, l'elemento fondamentale del sistema della comunicazione, dell'intrattenimento e della cultura in Italia rimane la televisione.
Il contributo che portiamo a questi incontri dunque è quello di seguire con molta attenzione la possibilità che, attraverso le nuove iniziative di riforma, si allarghi sempre la possibilità della presenza di soggetti di vario genere.
L'altro tema, per concludere, è quello che a noi - come UCSI - interessano moltissimo i problemi degli operatori della comunicazione: sia di quelli che stanno lavorando attualmente nel sistema della comunicazione, sia di quelli che vi dovranno lavorare in futuro.
Noi seguiamo con grande attenzione quanto sta accadendo, e l'eccesso di presenza di istituzioni per la formazione dei giornalisti crea in noi una grande preoccupazione. La scienza delle comunicazioni è diventata ormai un must per qualsiasi città, per qualsiasi università. Si formano giornalisti ovunque. Noi crediamo invece che la formazione degli operatori della comunicazione sia estremamente importante, soprattutto in questa visione di grandi cambiamenti, dove la struttura rigida del passato sta ormai sciogliendosi come neve al sole e dove la comunicazione dell'informazione passa attraverso tutte le possibili novità di tipo tecnologico.

 

 

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Il problema di fondo sarà, come sempre, quello dei contenuti. Si rileva, in questo momento, una debolezza nei contenuti, soprattutto da parte del servizio pubblico, e quindi ritengo necessario in qualsiasi modo rilevare che la democrazia di un sistema di comunicazione non è semplicemente data dal sistema e di come questo verrà governato ma anche, e soprattutto, dai contenuti che questo sistema ospiterà.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano formulare domande o esprimere osservazioni.

EMERENZIO BARBIERI. Vorrei limitarmi a fare due domande, rivolgendomi al dottor Paolo Serventi Longhi e al dottor Aresta.
Io riesco a leggere meglio di quanto riesca ad ascoltare. Ora, la Federazione nazionale della stampa italiana scrive che l'intervento legislativo deve essere l'occasione per l'apertura di tutti i mercati, deve portare l'Italia fuori dal duopolio - questo è diventato un ritornello che mi ricorda canzoni degli anni '50 a Sanremo - che ha fin qui compresso lo sviluppo. Tutto bene.
Io gradirei sapere in che modo, a giudizio della Federazione nazionale della stampa, si verifica questo. Le affermazioni di principio, in una sede come questa, servono a metà, in quanto l'indagine conoscitiva è avviata ed è stata promossa dalle Commissioni per acquisire non solo giudizi di carattere generale, ma anche riferiti a strumenti, visto che i presidenti delle due Commissioni sono anche relatori, che dovrebbero essere attivati per raggiungere alcuni obiettivi.
La stessa domanda la rivolgo per l'ultimo periodo. La radio rischia di essere nuovamente oscurata dalla grande attenzione della TV. È un errore che la nuova regolamentazione deve evitare.

 

 

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È sbagliato non pagare le tasse, affermazione sulla quale tutti siamo d'accordo, ma se non si definiscono gli strumenti con i quali si fanno pagare le tasse agli italiani, diventa difficile ottenere risultati.
Due domande al dottor Aresta, sull'oggettività dell'informazione. Devo dire che sono sempre rimasto appassionato nel leggere e sentire argomenti in cui si parla di oggettività dell'informazione. Il riferimento è a pagina 3, punto due, terza riga della documentazione consegnata.
Devo dire che, per quello che vedo e leggo, l'unico strumento che fornisce una informazione oggettiva - l'ho detto anche durante l'audizione del ministro Gentiloni, è Euronews. Non solo perché non compare mai il volto di una giornalista o di un giornalista - quindi si evitano i casi Gruber e Santoro - ma soprattutto perché viene data la notizia e basta, con le immagini. Oggettività dell'informazione: chiedo quindi chiarimenti su questo concetto.
Ultima domanda sempre al dottor Aresta, sempre a pagina 3. Scrive il dottor Aresta o chi ha preparato quest'appunto: «non è un caso se il Parlamento europeo ha adottato risoluzioni che testimoniano l'anomalia italiana nel campo dell'informazione caratterizzata dal predominio della televisione». Quindi lei dice che si tratta del Parlamento europeo. Esattamente una riga sotto lei aggiunge: «...e la situazione tende ad aggravarsi. Le modifiche che le Commissioni dei Parlamenti europei si accingono ad apportare definitivamente alla direttiva »Televisioni senza frontiere« consentiranno, infatti, di aumentare ulteriormente le inserzioni pubblicitarie sulle reti televisive.»
Dottor Aresta, il Parlamento europeo fa una cosa saggia, a suo giudizio, quando condanna questo tipo di situazione che c'è in Italia, ma poi si accinge a commettere un peccato

 

 

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mortale quando fa la cosa che lei qui descrive. Le due cose non stanno assieme. Mi sembra di tornare ai tempi in cui si citava La Pira quando serviva e non lo si citava quando non era conveniente citarlo.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Ringrazio moltissimo per l'esposizione; su moltissime cose sono d'accordo e sarebbe anche utile, una volta, avere una sede in cui poter procedere ad uno scambio per approfondire. Non è questo il momento e neanche l'ora, quindi sarò molto veloce. Tuttavia credo che si sia trattato di sollecitazioni che ci aiuteranno bene a procedere nel lavoro di esame del disegno di legge.
Avevo un paio di questioni da porre. La prima è quella che riguarda la transizione: siamo di fronte ad una transizione di carattere tecnologico, di mercato e legislativa.
Mi piacerebbe capire come la carta stampata, in particolare, si pone nella transizione. Le difficoltà, fra l'altro, anche di relazione fra le parti parlano abbastanza chiaramente: è evidente che noi siamo in presenza di una modifica non soltanto della struttura del mercato, ma addirittura, per certi versi, della natura e della funzione della carta stampata, soprattutto in un'epoca di convergenza. Come si può collocare nel ragionamento di transizione, appunto, la carta stampata?
Il secondo punto è quello che riguarda la parte della pubblicità. Io condivido tutte le preoccupazioni, comprese anche quelle che riguardano l'indirizzo che stanno prendendo le normative europee.
Io ho cercato di porre un problema, l'altra volta, ai pubblicitari e all'Auditel - senza ottenere peraltro, devo dire, grandi soddisfazioni - e vorrei porlo adesso anche a voi. Non vi è dubbio che la pubblicità è un mercato che si fonda sulla quantità, però è pur vero che, proprio perché vi è un allargamento della base tecnologica, degli strumenti di comunicazione,

 

 

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delle opportunità, il ragionamento sulla qualità comincia a diventare un ragionamento non indifferente.
Non credo, cioè, che il problema si riduca a un tetto quantitativo di risorse pubblicitarie. Penso che si dovrebbe cominciare a ragionare un pochino sulla responsabilità sociale dell'impresa - in questo caso anche dell'impresa pubblicitaria - combinando fra loro qualità, mercato ed etica.
Ritengo che la pubblicità non sia estranea alla qualità e che non sia solo una questione di posizione dominante, bensì sia una questione nuova di relazione fra la pubblicità e gli strumenti tecnologici che veicolano oggi il prodotto televisivo e della carta stampata.
Vorrei appunto un'opinione da questo punto di vista, in quanto io ritengo che, comunque, un ragionamento di etica dell'informazione riguardi anche un ragionamento di etica del mercato e, da questo punto di vista, evidentemente anche della pubblicità.
Non vorrei che il ragionamento si fermasse solo a una redistribuzione, peraltro molto complicata, rispetto ad un sistema maggiormente diversificato.
L'ultimo punto riguarda la convergenza. Dicevo all'inizio che la convergenza, che cambia anche la carta stampata, ridefinisce, in qualche modo anche il concetto-valore del pluralismo informativo. Si tratta, infatti, non solo di un problema che riguarda i cittadini-utenti, ma anche gli operatori, non fosse altro che per la diversificazione e la non sempre individuabile trasparenza delle fonti. Vorrei appunto capire, anche rispetto al disegno di legge - che io trovo rappresenti una straordinaria opportunità di apertura del mercato, non soltanto tecnologica ma anche di contenuto - quale sia la vostra posizione.

 

 

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GIORGIO MERLO. Io sarò molto rapido, anche perché siamo fuori tempo massimo. Io individuo nelle sollecitazioni di stamattina, almeno questa è la mia opinione, un forte incoraggiamento per chi condivide ed ha condiviso l'impianto della legge Gentiloni. Un incoraggiamento, poiché arriva da settori a mio parere qualificanti: il sistema dell'informazione nel nostro Paese. Incoraggiante, anche perché tocca alcuni aspetti che, però, stimolano ad un cambiamento nell'iter parlamentare.
Il punto intorno al quale, credo, anche per chi ha condiviso sin dall'inizio questo impianto, occorre maggiormente soffermarsi, in vista del varo della legge, è e resta la raccolta pubblicitaria. Attorno a questo tema - ed è la domanda che voglio fare - si intrecciano un po' tutti gli interventi. La raccolta pubblicitaria, fatta come è stata fatta sino ad oggi, significa la conferma di un ruolo dominante; la potenziale riduzione della garanzia del pluralismo; soprattutto, significa il disequilibrio tra sistema informativo radiotelevisivo e carta stampata.
La domanda che rivolgo a MediaCoop - ma tutti l'hanno toccata e mi pare che sia il filo rosso che collega un po' tutte le riflessioni -, riguarda il tetto. È vero - segnalo come fa il collega Barbieri, a pagina 5 paragrafo 3 -, che lei dice che il 45 per cento è un tetto troppo alto, anche se è una proposta di buon senso; però il problema di fondo è - lo chiedo perché ci potrà essere utile nel momento in cui si passerà alla fase concreta dell'esame del provvedimento - se, al fine di ridurre le posizioni dominanti, la riduzione di questo tetto sia efficace oppure no. La questione non è secondaria. Vorrei che si approfondisse questo aspetto, perché lo ritengo determinante sia ai fini delle posizioni dominanti da ridurre - voi l'avete

 

 

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detto tutti - sia ai fini del maggiore equilibrio fra carta stampata e TV, e sia, soprattutto, ai fini di una garanzia maggiore del pluralismo nel nostro Paese.

PRESIDENTE. Do nuovamente la parola ai nostri ospiti per le repliche.

BORIS BIANCHERI, Presidente della FIEG. Inizierei dalla domanda su come la carta stampata si atteggi in questa fase di transizione, immagino, non soltanto per quanto riguarda la transizione della televisione, ma per ciò che riguarda la transizione dell'editoria in genere, quindi anche della carta stampata. Vorrei dire che, se io avessi una risposta chiara e precisa a questa domanda, mi riterrei fortunato e riterrei fortunati tutti gli editori della carta stampata, poiché mi affretterei a comunicargliela. Faccio presente che nel mondo in questo momento ci troviamo - in Italia meno, in parte per cause patologiche ed in parte per elementi positivi - in genere di fronte ad un calo impressionante della carta stampata.
Negli Stati Uniti, da 65 milioni di copie di quotidiani al giorno, si è scesi a 43-44 milioni, con una perdita, in pochi anni, compresa fra il 20 ed il 30 per cento. In Francia, paese di grandi lettori, di livello culturale medio molto elevato, da 14 milioni di copie di quotidiani al giorno siamo passati ad 8 milioni e mezzo. Più o meno le stesse cifre ritroviamo in Gran Bretagna. Non le stiamo ritrovando, in questo momento, in Italia, in parte perché questi fenomeni giungono con ritardo e in parte perché partiamo da cifre più piccole, quindi da utenti affezionati, per così dire. È pressappoco vero (non è proprio esattamente vero) che in Italia abbiamo gli stessi numeri di lettori di giornali che c'erano nel 1945. Il problema è che non sono gli stessi utenti. I 6 milioni e mezzo di lettori del 1945 (o del 1950, per essere precisi), erano tutti coloro che

 

 

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avevano un interesse a sapere che cosa accadeva intorno a sé.
Oggi moltissimi sanno quello che accade intorno a sé senza bisogno di comprare i giornali, poiché esistono altre fonti di informazione. Quei 6 milioni sono rimasti tali, ma sono completamente diversi dai 6 milioni di allora. Sono utenti che vogliono un prodotto più raffinato, vogliono il commento, vogliono essere guidati attraverso le informazioni quotidiane. Dico questo per dire che il dato più basso che abbiamo in Italia sul declino della carta stampata, deriva dal fatto che partiamo da livelli più bassi e di nicchia, se così si può dire, rispetto a modelli più generali precedenti. Come, però, da questa considerazione si potrebbe trarre la conseguenza che questo non accadrà anche in Italia? Non è possibile: è inevitabile che il suddetto declino avvenga. In quale direzione gli editori possano andare, ripeto, è una risposta che vorrei possedere.
Di certo occorre, in primo luogo, la disponibilità di una flessibilità operativa. Più forti sono i vincoli, maggiori sono le costrizioni e minore è la tendenza ad adattarsi alle diverse situazioni di mercato. Questo mi sembra un dato che, per un settore in trasformazione, sia centrale. Credo che le trasformazioni nei contenuti della carta stampata siano in atto. Sono stati fatti investimenti generosi, anche attraverso la possibilità di sovvenzioni che li hanno incoraggiati.
Per i periodici, obiettivamente, il discorso è un pochino più articolato che per i quotidiani, anche perché la gamma è tale che andare a generalizzare al suo interno è difficile. Risulta più facile generalizzare per i quotidiani, che sono generalisti per definizione, ma in quale esatta direzione ci si stia muovendo, è comunque difficile da stabilire. Vediamo che alcune testate si riproducono sul web, altre esitano a farlo. Certamente fra dieci anni ci troveremo di fronte ad un mondo

 

 

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della comunicazione trasformato. Trasformato probabilmente nei formati, nei contenuti, nelle tecnologie e forse anche nella distribuzione.
Quindi, al di là di queste ipotesi, francamente non mi sento di trarre la somma finale.

PAOLO SERVENTI LONGHI, Segretario generale della FNSI. Presidente, se lo consente, lascerei la risposta al dottor Siddi.

PRESIDENTE. Prego.

FRANCO SIDDI, Presidente della FNSI. Alla domanda del vicepresidente della Commissione si potrebbe rispondere con uno slogan, ma capisco che in questa sede non va bene. Pertanto, bisogna spiegare le cose come stanno. Non possiamo che rispondere dicendo che dal duopolio si esce assumendo azioni che accrescono il pluralismo.
Quali sono queste azioni lo devono stabilire la legge e il mercato, sulla base degli orientamenti della legge individua.
Non c'è dubbio che l'intervento di chiarificazione, che viene fatto sul SIC, possa essere utile. Usciamo dal paniere indistinto, dal mercato delle risorse conteggiate ai fini dei limiti antitrust e così via, e si possono determinare le condizioni per limitare le posizioni dominanti e per liberare risorse che favoriscano l'ingresso di altri soggetti, attraverso un meccanismo che la legge da questo punto di vista pare individuare in maniera virtuosa. Vale a dire: un intervento sul mercato delle risorse e sulla disponibilità delle risorse; un altro intervento sul piano della tecnologia.
Il nostro documento afferma che l'intervento di accelerazione richiesta per il passaggio al digitale libera il secondo terreno, vale a dire che libera risorse frequenziali. Queste

 

 

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risorse - sosteniamo -non vanno date a chi è già oggi concessionario analogico, bensì devono essere messe a disposizione di ulteriori operatori, che però garantiscano l'immissione di contenuti.
Dal nostro punto di vista, deve trattarsi di contenuti offerti, con professionalità, dal mondo della cultura, della scienza e dell'informazione. Si tratta di passaggi che crediamo obbligati.
Visto che ci sono, prendo un altro piccolo spazio di tempo per segnalare forse l'opportunità che nel passaggio al digitale la legge, se possibile, incoraggi l'assunzione di uno standard più avanzato rispetto a quello che è in corso di sperimentazione e che rischia di essere superato fra due anni.
Stiamo facendo un passaggio lento al digitale, ma dove ciò sta avvenendo, stiamo rischiando di mettere in difficoltà non soltanto le imprese rispetto alla certezza dei tempi di avvio del sistema, ma anche gli utenti che dovranno, nel giro di pochi anni, passare a nuovi sistemi - non solo di ricezione, ma anche di utilizzo delle potenzialità dell'interattività digitale - e tecnologie più avanzati che già sono disponibili, ma che in Italia - non si capisce perché - non arrivano.
Ho l'impressione che le scelte assunte attraverso la calendarizzazione stiano non solo rallentando i tempi del passaggio, ma stiano anche frenando i tempi dell'investimento avanzato che spetta al mercato (ma che va anche qui in qualche modo indirizzato, fermo restando che il mercato deve avere la sua libertà).
Quindi, i due passaggi fondamentali al fine di favorire il pluralismo mi sembrano essere i seguenti: la disponibilità di maggiori risorse per più soggetti; la liberazione di frequenze.
L'ultimissima osservazione riguarda la stampa e la ricaduta che può avere l'imposizione di limiti antitrust sulle risorse pubblicitarie. Certo non è automatico che il porre tetti diversi

 

 

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al sistema televisivo - che in Italia è un caso unico al mondo, come dicevano i rappresentanti della FIEG - determini un passaggio di risorse maggiori alla stampa, tali che questa possa crescere e svilupparsi. Tuttavia, non c'è dubbio che un mercato vivo e attento di quelle imprese, se davvero vogliono investire e pensare al futuro - finora non lo dimostrano molto, purtroppo, se non nelle relazioni che fanno nelle audizioni e negli incontri, anche con noi - credo rappresenti un cammino che possa diventare virtuoso.
Si pone un problema per la carta stampata legato a quanto avviene nel futuro, all'intervento dei nuovi media e via dicendo. Nessun media ha mai cacciato quello vecchio. Probabilmente, dovremmo adattarci meglio tutti, però con flessibilità virtuosa ed operosa e non chiudendoci ciascuno nel proprio guscio.

GIANCARLO ARESTA, Rappresentante di MediaCoop. Vorrei preliminarmente rispondere a due problemi posti dal vicepresidente.
La comunicazione è un'operazione complessa, in cui passano insieme informazioni, conoscenze e idee. Noi crediamo troppo al valore delle idee e delle opinioni nell'informazione, tanto da farne una battaglia per il pluralismo e perché tutte le opinioni e le idee possano avere campo.
Esiste però, nella funzione di chi produce informazione, anche un'altra funzione. Avrei preferito che fosse stato scritto obiettività anziché oggettività, come è scritto nel testo a pagina 6, in quel titoletto. Mi riferisco all'obiettivo di correttezza: per contrastare una posizione, non c'è bisogno di falsificarla o inventarla. Invece, spesso, avviene proprio che le posizioni vengano falsificate o inventate, per poterle contrastare.
Mi riferisco poi all'obiettivo di trasparenza: se si riporta una posizione, è utile citare le fonti, rendere possibile una documentazione autonoma sulle cose di cui si parla.

 

 

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Infine i requisiti di obiettività, cioè non falsificare i dati della realtà, sono essenziali per fare nel modo più serio e più giusto un confronto di idee, in quanto il compito dell'informazione è trasferire informazioni e conoscenze, per poi esercitare il confronto delle idee. Si tratta di uno degli obiettivi primari della tutela di un sistema di comunicazione come quello italiano.
Alla seconda domanda, la risposta è in parte implicita nella successione delle cose. È vero che dalla Comunità europea sono arrivate direttive che hanno censurato le anomalie del sistema italiano. È altresì vero che oggi, da posizioni di partenza profondamente diverse, in quanto gli equilibri tra risorse pubblicitarie nella carta stampata e nelle TV in Europa sono mediamente capovolte rispetto a quelli italiani, in Europa si intraprende un processo che tende a creare le condizioni per un allargamento del mercato televisivo, e un'azione normativa che è in itinere, su cui noi esprimiamo un giudizio preoccupato. Infatti, qualora quel percorso andasse avanti, renderebbe più debole la possibilità di aprire una battaglia per il pluralismo nel nostro paese.
Rispondendo alla questione posta dal vicepresidente Merlo, dico che pensiamo che i tetti debbano servire per determinare una redistribuzione di risorse. Se non si allarga il numero degli operatori che agiscono nel campo della comunicazione, sui suoi valori principali che sono l'attività di informazione e anche di produzione culturale, la democrazia di questo paese soffre.
In qualche modo, in questo campo va posto un limite alle possibilità di sviluppo delle imprese, in quanto la crescita illimitata delle imprese significa la parallela riduzione delle voci.

 

 

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Ciò riguarda la tutela di un bene democratico di questo paese. Quindi, noi siamo assolutamente per questo.
Tra l'altro, siamo in un sistema che non conosce quasi più gli editori puri. Se guardiamo l'assetto industriale produttivo, economico di qualsiasi impresa vede dislocati fuori dalla realtà della comunicazione, in molti casi, gli interessi prevalenti dei grandi attori del mercato della comunicazione, qui pensiamo che ci sia bisogno di un mercato regolato e che bisogna cogliere l'occasione per questa azione legislativa che riguarderà, in un arco concentrato di tempo, più campi, per ragionare sugli assetti del sistema anche in modo unitario nei diversi comparti che compongono il sistema stesso. Quindi, non solo televisione, ma anche carta stampata, internet, radio e via elencando.

FRANCESCO SAVERIO VETERE, Segretario generale dell'USPI. Intervengo molto brevemente. Rilevo soltanto un punto, quello della qualità e del contenuto dei giornali. Trovo che sia un argomento scivoloso, molto pericoloso, sul quale bisogna intervenire con prudenza. Non mi piacerebbe affatto un provvedimento normativo sul contenuto dei giornali, perché rappresenterebbe un arretramento del pluralismo in questo paese. Detto questo, il problema va posto - lo ripeto - con prudenza.

ANGELO SFERRAZZA, Vicepresidente nazionale dell'UCSI. Vorrei innanzitutto rispondere al mio vecchio amico Barbieri. Per noi che abbiamo una certa età - parlo ovviamente per me - e che abbiamo vissuto la riforma del 1975-1976, mi sembra che il déjà-vu sia costante. Poi c'è una analisi di carattere storico politico, da cui emerge un ritardo pauroso su tutto il comparto della comunicazione.

 

 

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Aveva ragione l'ambasciatore Biancheri, quando dice che, questo fenomeno della lenta agonia della carta stampata, nel nostro paese è più lento. Abbiamo questi famosi dati della ricerca fatta col Censis e, in effetti, la Francia è peggio di noi, ma questo perché noi siamo ancora ritardo. Siamo, in fondo, dei grandi conservatori.
Io credo che la vera preoccupazione, quando si affrontano i temi delle riforme, soprattutto di un sistema come questo televisivo, sia quello di migliorare. Migliorare il pluralismo significa apertura a tutti, alle minoranze e ai gruppi. Paragonata al 1975, la nostra società è completamente cambiata: i dati ci segnalano un cambiamento anche risalendo soltanto di uno, due o tre anni.
Chi ha fatto il mestiere del comunicatore, sa benissimo che l'obiettività non esiste. È un'ipocrisia solamente evocarla, però il problema della comunicazione, nella sua essenza, permane.
Viene anche un po' da sorridere, quando si discute su questo tipo di riforma secondo la quale la politica dovrebbe fare un passo indietro. Anche questa è un'ingenuità: sappiamo che tutto è politica.
Il problema è sapere quale tipo di rapporto c'è fra la comunicazione e la politica. Quando noi parliamo di autonomia, parliamo di certezza in coloro i quali fanno la comunicazione. Allora qui si innesta tutto il discorso di carattere economico, tetto pubblicitario e tutt'altra sede di altri problemi.
Io credo che questo sia uno dei temi fondamentali che dobbiamo affrontare.
Non c'è certezza nemmeno nei Vangeli. Gli ultimi studi danno anche una novità nei famosi Vangeli apocrifi, che non vengono più considerati come la notizia del male, e si pone il

 

 

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problema di chi li ha scritti, dove e quando. Se non esiste più certezza nemmeno in quello, immaginiamo come ci possa essere certezza nella comunicazione.

PRESIDENTE. Nel ringraziare tutti voi, vorrei dire al dottor Aresta, a proposito di una suggestione fatta nel primo intervento, che la VII Commissione, competente in materia di editoria e di informazione, ha già deciso - procederemo nei prossimi giorni - di costituire un comitato permanente per l'editoria.
Questo luogo potrebbe diventare istituzionale e monitorare continuamente i diversi provvedimenti legislativi e le diverse necessità. Noi sentiamo assolutamente l'esigenza da lei rappresentata.
Infine, dal momento che questa Commissione è diventata anche un punto di riferimento anche per la vostra vertenza, non posso non esprimere ancora una volta un caldissimo auspicio affinché la vertenza per il rinnovo del contratto dei giornalisti possa trovare rapidamente un esito. Che ciò avvenga è nell'interesse del paese.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14.