BOZZA NON CORRETTA

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 19 maggio 2004

 

 

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 14.55.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

 

Sulla pubblicità di lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

 

Audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche di privatizzazione, l'audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Prima di dare la parola al professor Tesauro, desidero svolgere qualche breve considerazione introduttiva per ricordare gli obiettivi che la Commissione si prefigge con l'indagine conoscitiva.
In sostanza, si tratta di chiarire quali indirizzi debbono essere perseguiti nella gestione delle partecipazioni tuttora detenute da enti pubblici, a cominciare dal Tesoro, per proseguire con gli enti territoriali, e quali problemi di carattere giuridico, economico e finanziario possono porsi relativamente ad eventuali e successive alienazioni che dovessero essere effettuate.

 

 

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Alla luce di questi obiettivi, mi pare evidente che l'odierna audizione assume particolare importanza, non soltanto alla luce dei poteri che l'ordinamento attribuisce all'Autorità, ma anche in relazione al ruolo assai positivo che l'Autorità ha svolto negli ultimi anni.
Mi riferisco, in particolare, alle segnalazioni trasmesse al Parlamento nel corso dell'esame di provvedimenti legislativi, che hanno sempre sollecitato il legislatore a considerare con la necessaria attenzione profili della massima delicatezza, quali sono quelli che attengono alle politiche di privatizzazione.
Si è in questo modo attivato un circuito «virtuoso» di proficua interlocuzione tra il Parlamento e un organo di altissima competenza tecnica qual è l'Autorità.
Ritengo, in particolare, opportuno dare atto all'Autorità di aver saputo interpretare in maniera duttile e intelligente il principio della tutela della concorrenza, facendolo calare nella realtà concreta degli assetti produttivi, economici e finanziari del paese.
Esemplare mi sembra, in proposito, il recente richiamo, da parte dell'Autorità, all'esigenza di preservare le finalità pubblicistiche per quanto concerne le reti impiegate per la prestazione di servizi pubblici essenziali, quali sono quelli elettrici.
L'indagine è ispirata proprio a questa logica, nella convinzione che le decisioni da assumere per quanto concerne la cessione di partecipazioni pubbliche non possono limitarsi alla acquisizione per l'erario di maggiori entrate, ma debbono garantire anche una adeguata tutela dell'utenza e dei consumatori, favorire la realizzazione di politiche industriali per il rafforzamento del sistema produttivo e promuovere la crescita del sistema finanziario.

 

 

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Per questo motivo mi permetto di sollecitare il presidente dell'Autorità su alcune recenti novità.
Ricordo, in primo luogo, la trasformazione della Cassa depositi e prestiti in SpA e la scelta di conferire alla nuova Cassa una quota consistente delle partecipazioni dallo Stato in Enel, Eni e Poste Italiane Spa. In questo modo l'istituto può diventare uno snodo fondamentale negli assetti proprietari del sistema produttivo e finanziario nazionale, anche in considerazione dell'ingresso nel suo capitale di alcune fondazioni, la cui collocazione nel nostro sistema finanziario presenta tuttora forti peculiarità. Allo stato non è chiaro se si prefiguri la trasformazione della Cassa in una sorta di holding che per certi versi può evocare esperienze, positive e negative, già vissute nel nostro paese.
Un secondo aspetto da approfondire concerne le modalità «originali» cui il Governo ha recentemente fatto ricorso per alcune importanti operazioni di collocamento di partecipazioni detenute, a partire da una quota di ENEL per proseguire con Terna.
Un terzo aspetto riguarda le recenti modifiche apportate alla normativa relativa alla golden share, che a breve dovrebbero tradursi nell'inserimento di specifiche clausole statutarie in importanti società pubbliche, e la disciplina relativa ai servizi pubblici locali, alla luce delle novità apportate dall'ultima legge finanziaria e delle iniziative di riassetto in corso o preannunciate. Do ora la parola al professor Tesauro, il quale esporrà una breve relazione.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Vi ringrazio per avere invitato l'Autorità che presiedo a fornire il proprio contributo di riflessione sulle politiche di privatizzazione realizzate in questi anni e su quelle ancora da realizzare in Italia. Il mio

 

 

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intervento si focalizzerà soprattutto sul rapporto tra concorrenza e privatizzazioni per evidenziare la correlazione non sempre automatica che esiste tra le due nozioni, per poi fornire eventualmente alcuni spunti di riflessione.
In linea teorica, innescando benefici processi di riorganizzazione della struttura proprietaria delle imprese pubbliche, le privatizzazioni possono condurre a sensibili miglioramenti strutturali dei mercati dal punto di vista dell'operare dei meccanismi concorrenziali. Più specificamente, restituendo molte società a dimensioni di efficienza gestionale e competitività, esse consentono il superamento di taluni limiti connessi alla loro gestione pubblica. È ormai largamente acquisito, infatti, che la proprietà pubblica, oltre a imporre al management obiettivi che talora entrano in conflitto con il conseguimento dell'efficienza produttiva e allocativa, impedisce che venga esercitata sui comportamenti d'impresa la disciplina del mercato per il controllo proprietario, con effetti nel lungo periodo assai negativi sulla profittabilità e sull'efficienza dell'impresa.
In secondo luogo, l'accesso delle imprese pubbliche a forme di finanziamento statale in parte svincolate dal controllo di mercato, quali ad esempio i fondi di dotazione e le garanzie offerte dallo Stato sul capitale di debito, introducono rilevanti distorsioni alla concorrenza nei mercati in cui tali imprese si trovano a competere con operatori privati che non dispongono di analoghe facilitazioni finanziarie.
In terzo luogo, l'impresa pubblica spesso dispone di un potere di mercato tale da poter realizzare condotte escludenti ai danni dei concorrenti attivi nei settori a monte, a valle o contigui rispetto a quello ove storicamente detiene la posizione dominante l'impresa incumbent.

 

 

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Al fine di svolgere una analisi il più possibile lineare e razionale, appare indispensabile chiarire, innanzitutto, il rapporto tra privatizzazione e liberalizzazione, quest'ultima essenziale complemento per evitare che il cambiamento della natura del controllo societario si risolva in una mera trasformazione del monopolio pubblico in monopolio privato, senza alcun avvio del gioco competitivo.
In Italia, purtroppo, gli obiettivi di tutela e promozione della concorrenza stentano ad affermarsi nell'ambito delle privatizzazioni. Infatti, la vendita di un monopolio è sempre privilegiata dai ministeri che sovrintendono alle entrate pubbliche, perché apparentemente più vantaggiosa per le casse dello Stato, sicché il dibattito sul se privatizzare è stato ed è a tutt'oggi normalmente svolto nell'ottica di far fronte alle esigenze di riequilibrio della finanza pubblica. Pur essendo innegabile la necessità di far fronte alÌ esigenza di risanamento del debito pubblico, non si può però commettere l'errore di far prevalere l'obiettivo «di fare cassa» rispetto a quello di ristrutturare gli assetti dei principali settori economici nazionali, prima della privatizzazione, secondo i principi del libero mercato. Tra l'altro, anche l'obiettivo di apertura dei mercati non sempre implica una totale privatizzazione dei settori, potendo essere talvolta economicamente preferibile il mantenimento di alcune fasi della filiera «in mano pubblica».
Con riferimento alla nozione di privatizzazione, essa individua la fase di passaggio del controllo, in termini di effettivo esercizio del potere di gestione, dallo Stato a soggetti terzi privati. Può sembrare superfluo un simile chiarimento, ma se si guarda alla realtà nazionale si può constatare come spesso si sia usato impropriamente il termine privatizzazione per qualificare semplici dismissioni di quote, senza alcuna perdita del controllo dell'impresa da parte della «mano pubblica».

 

 

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Attualmente, o perché si sono realizzate solo forme di dismissione, come sopra definite, o perché solo proclamate ma mai avviate, rimangono diverse aree dell'economia nazionale con una dominante presenza di operatori pubblici. A tutt'oggi, infatti, restano sotto il controllo dello Stato alcune importanti imprese, tra cui Ferrovie dello Stato, Alitalia, RAI, Enav, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato Spa, Fintecna ed altre. A queste devono aggiungersi poi le società di gestione dei servizi pubblici locali (ma questo è un capitolo che, purtroppo, comincia ad essere abbastanza dolente).
Sul permanere di un simile controllo deve essere puntualizzato che non sempre questo deve essere valutato in termini negativi. L'Antitrust ha più volte sottolineato che, in specifiche fasi della filiera produttiva, normalmente le fase centrali di trasmissione/trasporto, può essere opportuno, se non addirittura necessario, conservare la natura pubblica dell'impresa. Si tratta dei contesti nei quali risulta elevato il rischio di fallimento del mercato. Tuttavia, anche in tali casi, va attentamente valutato se sia possibile 1'uscita dello Stato con un processo di privatizzazione e l'intervento più efficiente di un soggetto terzo regolatore in grado di assicurare condizioni di accesso eque, trasparenti e non discriminatorie (svilupperò più avanti questo punto).
L'analisi economica trasfusa negli interventi dell'autorità antitrust ha reso evidente che la scelta di mantenere una struttura verticalmente integrata conserva in capo all'operatore ex-monopolista un incentivo a sfruttare il proprio potere di mercato su una fase della filiera per disincentivare, o comunque non agevolare, lo sviluppo di politiche competitive o aggressive da parte dei potenziali concorrenti attivi a monte o a valle. In particolare, la generalità dei settori investiti, o parzialmente investiti dai processi di privatizzazione, presentano

 

 

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un mercato centrale con tutte le caratteristiche del monopolio naturale o dei limiti tipici che conducono al fallimento del mercato. Si tratta delle reti di trasmissione necessarie e non duplicabili (almeno non immediatamente, non facilmente e non con costi intollerabili) per il trasporto dell'energia elettrica, del gas naturale o, ancora, per i servizi di telecomunicazione e ferroviari. Al riguardo, anche laddove i processi di privatizzazione si sono realizzati (per esempio, nel settore delle telecomunicazioni) o dove dovrebbero realizzarsi a breve (per esempio, nel settore dell'energia elettrica), rimane il problema connesso alla soluzione di privatizzare il leader nazionale, lasciando in essere una struttura verticalmente integrata lungo tutte le fasi della filiera produttiva e distributiva.
Privatizzare l'operatore leader integrato verticalmente crea le condizioni di un monopolio di rete e ciò incentiva 1'uso strumentale dei diritti di passaggio per ostacolare la concorrenzialità nei mercati a monte o a valle, solo teoricamente liberalizzati. In assenza di scelte radicali di separazione proprietaria tra le diverse fasi verticalmente integrate, i processi di privatizzazione o dismissione rischiano di rendere sterile nel futuro il tentativo di avviare il gioco concorrenziale tra l'ex-monopolista e i terzi nuovi entranti nei mercati potenzialmente liberalizzati. Comunque, anche la separazione verticale non sempre è sufficiente. L'entità che risulta detenere il controllo della fase centrale della filiera produttiva, quindi, dei cosiddetti diritti di passaggio/accesso richiede un'oculata attività di regolazione, anche quando è privatizzata. Separazione e regolazione non possono essere scisse, nel senso che, laddove manca la prima risulta impotente la seconda. L'interesse a controllare l'accesso per limitare la competitività dei concorrenti a monte o a valle da parte del soggetto privatizzato,

 

 

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ma non verticalmente separato, si è rivelato un fenomeno spesso condizionante l'efficiente ed efficace intervento regolatorio.
L'intervento antitrust, che è di tipo ex post, è certamente possibile ma, in questo caso, non agevole ed è spesso esposto al rischio di sovrapposizioni nei ruoli con l'autorità di regolamentazione settoriale. Questo dovrebbe indurre ad un ripensamento dei ruoli tra le diverse autorità, o meglio, alla ricerca di strumenti e di spazi per rendere più permeabili le rispettive funzioni in vista di un reale sviluppo competitivo dei mercati. Passiamo ora ad esaminare i processi di privatizzazione e liberalizzazione dei principali settori economici in Italia. Cominciamo dalla telefonia. A questo proposto, merita di essere sottolineato il rischio concreto di condotte escludenti poste in essere dall'ex-monopolista pubblico rimasto, dal punto di vista della proprietà, verticalmente integrato. L'accesso alla rete è, infatti, uno strumento essenziale per i concorrenti, a monte e a valle, con la conseguenza di un possibile accesso strategicamente restrittivo a danno dei terzi da parte dell'operatore integrato dal punto di vista proprietario. Il ricorso alla regolamentazione di settore risulta essenziale ma è condizionato, proprio per il permanere del legame proprietario, dal medesimo soggetto regolato. L'autorità di regolazione (in questo caso l'autorità di garanzie delle comunicazioni con sede a Napoli), quali che siano i suoi poteri, risulta fortemente condizionata dall'asimmetria informativa, rispetto al soggetto regolato. A sua volta, quest'ultimo, ha maggiori incentivi a sfruttare tale vantaggio per condizionarne l'intervento a suo favore in presenza di una struttura verticalmente integrata.
L'antitrust ha frequentemente osservato come un simile legame rischi di rendere solo teorico il principio di accesso equo e a condizioni trasparenti. L'uso di benchmark europei

 

 

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e criteri come la best practice, appaiono necessari affinché dati di costo storici, difficilmente accertabili, rendano la tariffa, che pure è regolata, un ostacolo per l'operare competitivo dei soggetti terzi. Questo dimostra come la regolamentazione ex ante non possa essere sufficiente senza una riorganizzazione strutturale anteriore ai processi di privatizzazione e liberalizzazione. Regolazione e tutela del mercato richiedono, insieme ad una più oculata politica industriale in materia, la condivisione di un pensiero comune e lo sviluppo di forme di stretto coordinamento per l'armonizzazione delle rispettive politiche e l'individuazione dei rispettivi ruoli. La regolamentazione deve intervenire nella fase di accesso alle infrastrutture e nelle fasi a valle o a monte solo nel periodo di avvio del mercato liberalizzato. La tutela del mercato deve, invece, assicurare costantemente, dato questo scenario, il controllo ex post, cioè il controllo antitrust.
Passiamo ora al settore dell'energia elettrica, dove il tanto atteso processo di privatizzazione non si è ancora compiuto. Nell'attesa e in questa fase di mera dismissione, l'autorità ha più volte espresso il convincimento che la riunificazione tra la proprietà e la gestione della rete elettrica possa rappresentare un miglioramento della originaria impostazione del processo di liberalizzazione del settore (sappiamo che ENEL ha solo la nuda proprietà della rete di trasmissione elettrica), in particolare in quanto contribuisce a predisporre incentivi più stringenti ad effettuare gli investimenti in infrastrutture di trasmissione idonei a sostenere l'incremento di offerta necessario a coprire il crescente fabbisogno interno. Le esperienze della scorsa estate hanno reso evidente che l'attuale dotazione infrastrutturale di rete è inadeguata a coprire le crescenti esigenze del sistema economico italiano. Le gravi debolezze del sistema nazionale di approvvigionamento elettrico si riflettono

 

 

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anche sullo specifico funzionamento del mercato, in quanto ostacolano la concorrenza tra gli operatori presenti e pregiudicano le condizioni di entrata da parte dei concorrenti potenziali.
Indipendentemente da scelte eventualmente già effettuate dal legislatore in ordine alla privatizzazione dell'operatore di rete, merita di essere sottolineato che, ai fini della sicurezza degli approvvigionamenti e della continuità del servizio, il sistema di rete dovrebbe dare adeguato risalto all'obiettivo di assicurare costantemente la disponibilità di un livello adeguato di capacità trasmissiva. Tale obiettivo potrebbe non essere agevolmente perseguito da parte di operatori guidati da logiche privatistiche, con il conseguente rischio di una sistematica carenza delle dotazioni infrastrutturali. Ciò implica che l'assetto ideale dovrebbe lasciare in mano pubblica il sistema di rete, procedendo invece alla privatizzazione dei mercati a monte e a valle.
In ogni caso, indipendentemente dalla scelta che attiene alla natura pubblica o privata del soggetto proprietario e gestore dell'infrastruttura di rete, l'Autorità antitrust ha ribadito, anche recentemente, che la completa separazione proprietaria tra rete di trasmissione elettrica ed operatori attivi nelle fasi a monte (generazione) ed a valle (distribuzione e vendita) è essenziale affinché l'operatore di rete mantenga, sia in materia di accesso alla rete, sia con riferimento al dispacciamento degli impianti di generazione, i profili di terzietà e di indipendenza necessari affinché nel mercato elettrico operino effettive condizioni concorrenziali. In quest'ottica ci si domanda perché mantenere quote dell'incumbent, anche se con diritti di voto congelati al 5 per cento.
Chiarita l'esigenza di una netta separazione verticale, appare centrale fare una qualche considerazione sull'avviato

 

 

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processo di liberalizzazione nel mercato a valle della vendita finale. Infatti, proprio nell'aprile 2004 ha visto la luce la cosiddetta Borsa elettrica. La realtà di questi giorni sta dimostrando che senza un processo di reale apertura dal lato dell'offerta nessun effetto competitivo è da attendere e nessun impatto sui prezzi realisticamente sperabile. Anzi, il permanere di un elevato grado di concentrazione nell'offerta rischia di consentire al leader di mercato di mantenere politiche di prezzi crescenti senza alcun incentivo a strategie aggressive da parte di terzi concorrenti/clienti a valle. In altri termini, la presenza dell'incumbent in posizione dominante nella fase dell'approvvigionamento, gli scarsi investimenti da parte di terzi nella generazione, i colli di bottiglia nella rete, sono tutti fattori che rendono ancora elevatissimo il potere di mercato esercitato dall'ex-monopolista nella vendita finale. I suoi concorrenti sono normalmente clienti nell'approvvigionamento. Liberalizzare senza pianificare e incentivare l'ingresso di nuovi-indipendenti offerenti si rivela una operazione di mera facciata. Semplificare le procedure di autorizzazione per la realizzazione di nuove centrali, incentivare i processi di potenziamento degli impianti esistenti, evitare l'uso strumentale del controllo della rete e dei suoi miglioramenti attraverso la separazione proprietaria, sono priorità senza la cui realizzazione non si può parlare di liberalizzazione.
A ciò si aggiunga che la stessa regolamentazione non può supplire ai problemi di tipo strutturale richiamati. È indubbio che l'intervento regolatorio può limitare alcune condotte restrittive ( quali l'introduzione di contratti differenziali che sterilizzano estrazioni di profitti crescenti), volte a incentivare politiche (tacite o esplicite) di prezzi non aggressivi. Tuttavia, si tratta di interventi di breve periodo e utili nella fase di avvio che non possono assicurare un reale processo di apertura dei

 

 

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mercati con effetti positivi per il benessere sociale se tale processo è impedito da una struttura industriale ancora strutturata a «vantaggio» dell'incumbent.
Anche con riferimento al settore del gas naturale valgono le stesse considerazioni di principio svolte per il settore dell'energia elettrica. Affinché gli attesi processi di privatizzazione e liberalizzazione si realizzino e perché le necessarie misure di incentivo alla concorrenza, da implementare nella fase a monte dell'approvvigionamento, siano in grado di esercitare i propri effetti sul mercato della vendita, appare necessario eliminare ogni residua possibilità, in capo all'impresa incumbent, di influenzare il gioco competitivo con comportamenti opportunistici nei segmenti monopolistici (trasporto internazionale, trasporto nazionale e stoccaggio ).
Posto che a livello nazionale appare sempre indispensabile procedere ad una separazione verticale di tipo proprietario tra rete e resto delle attività a monte e a valle, con riferimento alle infrastrutture internazionali di trasporto di gas, si deve evidenziare la criticità rappresentata dalla posizione di Eni nell'assetto di controllo delle società estere proprietarie delle infrastrutture e/o nella disponibilità quasi esclusiva dei relativi diritti di transito. La soluzione preferibile per evitare di sterilizzare qualunque processo di privatizzazione-liberalizzazione e per incentivare potenziamenti non rinviabili, sarebbe prevedere una separazione proprietaria completa tra le attività di vendita sul mercato nazionale e quelle di trasporto internazionale.
Nell'immediato, si ritiene necessario procedere quanto prima all'identificazione di un percorso normativo (ad esempio in sede di recepimento della direttiva comunitaria n. 55 del 2003) che porti ad una gestione meno opaca, da parte di ENI, dei gasdotti internazionali. Come soluzione definitiva, invece,

 

 

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si auspica, come detto, la cessione da parte di ENI delle quote di capitale sociale detenute in SNAM Rete Gas e dell'intera partecipazione detenuta in Stogit. Esito di tale processo dovrebbe essere la creazione di un Indipendent Sistem Operator (ISO) che detenga e gestisca le infrastrutture di trasporto e di stoccaggio. Questa misura sembra necessaria, inoltre, per superare i problemi regolatori e competitivi connessi alla verifica delle condotte delle attuali società (SRG e Stogit) rispetto ai terzi, e per la creazione di incentivi al potenziamento delle infrastrutture di trasporto ed infrastrutture di stoccaggio.
Passando al settore radiotelevisivo, va anzitutto sottolineato che l'operare di meccanismi concorrenziali costituisce condizione essenziale ma non sufficiente a garantire il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione. Va poi evidenziato che la RAI, dovendo essere quotata sui mercati azionari, dovrebbe competere nella raccolta pubblicitaria radiotelevisiva, massimizzando i propri profitti. In considerazione del fatto che il prezzo borsistico di una società è dato dal valore scontato dei profitti attesi futuri, la RAI dovrà necessariamente tendere a massimizzare il valore dei ricavi derivanti dalla raccolta pubblicitaria. La creazione di una società quotata in borsa, dotata peraltro di peculiari regole di corporate governance che non garantiscono un controllo stabile da parte degli azionisti delle attività del management, potrebbe risultare incoerente con l'obiettivo di affidare, per concessione e sulla base di contratti di servizio stipulati con il Ministero delle comunicazioni e gli enti locali, lo svolgimento del servizio pubblico generale radiotelevisivo. Tale servizio, infatti, comporta qualificati obblighi in termini di estensione e contenuti dell'informazione e di missioni di utilità sociale.

 

 

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Considerato che lo svolgimento per concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo e la massimizzazione dei profitti risultano obiettivi difficilmente conciliabili, il soddisfacimento di entrambi da parte di una società destinata ad essere quotata sul mercato borsistico potrebbe non risultare adeguato al perseguimento delle due funzioni. Né, a tal fine, la mera separazione contabile appare uno strumento sufficiente a disciplinare il comportamento societario e garantire l'effettiva separazione delle attività dell'azienda regolamentata.
Di conseguenza, la nuova struttura organizzativa della RAI non appare idonea alla costituzione di un soggetto che possa svolgere in modo efficiente l'attività di servizio pubblico generale e contemporaneamente competere efficacemente con gli altri operatori nel mercato della raccolta pubblicitaria, assicurando un'adeguata pressione concorrenziale nei riguardi dell'altro operatore storico presente nel settore.
L'Autorità ha più volte ribadito che il perseguimento dell'obiettivo di servizio pubblico generale, nonché l'esigenza di assicurare un'adeguata pressione concorrenziale nel mercato nazionale della raccolta pubblicitaria richiede un intervento strutturale quale la separazione societaria, ovvero la creazione, così come avviene nel Regno Unito con la BBC e Channel 4, di due società distinte: la prima con obblighi di servizio pubblico generale finanziata attraverso il canone, la seconda, a carattere commerciale, che finanzia le proprie attività attraverso la raccolta pubblicitaria. Per quest'ultima sarebbe auspicabile sia il collocamento delle azioni sul mercato borsistico, così come attualmente previsto, sia la definizione di regole di corporate governance che garantiscano un effettivo controllo dell'operato del management.
Con riferimento poi al settore dei media, appare centrale ribadire che il processo di privatizzazione, non accompagnato

 

 

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ad un ripensamento della struttura verticalmente integrata, rischia di non condurre ad esiti pro-competitivi nei mercati a valle dei contenuti e della raccolta pubblicitaria, in considerazione del prossimo passaggio dall'analogico al digitale.
Sul punto, due sembrano essere i nodi concorrenziali e regolatori da affrontare. Il primo, è la presenza di una struttura verticalmente integrata (che va dalla disponibilità degli impianti trasmissivi, quindi al controllo sull'accesso ai contenuti, alla disponibilità delle frequenze, alla produzione di contenuti, sino alla raccolta pubblicitaria). Il secondo nodo è la necessità di un nuovo intervento di tipo regolatorio e di una nuova analisi concorrenziale, in grado di assicurare un'equa ed efficiente riallocazione delle risorse indispensabili alla presenza di più operatori dimensionalmente in grado di competere con prodotti differenziati e di qualità.
In Italia, diversamente da altri paesi membri della famiglia comunitaria, il settore dei media presenta due elementi caratteristici. Il primo è la forte integrazione dei principali attori (la filiera verticale completa) sia per l'operatore pubblico, sia per l'altro grande operatore. Ciò potrebbe naturalmente determinare un ostacolo ad uno sviluppo realmente competitivo del futuro mercato dell'accesso ai contenuti sulle piattaforme digitali. Rimando a quanto scritto nella relazione su questo punto e passo subito al secondo nodo, cioè il problema regolamentare connesso all'allocazione delle frequenze.
Sappiamo tutti che nel passato, soprattutto gli ultimi vent'anni, c'è stato una specie di far west nell'allocazione delle frequenze, con una sorta di accaparramento disordinato, non per scopi cattivi ma semplicemente perché non si aveva chiaro il quadro (si parlava infatti di inesauribilità delle risorse). Questo processo ha però portato ad un assetto caratterizzato

 

 

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oggi da notevoli problemi di inefficienza dell'allocazione delle frequenze e quindi ad una quasi necessità di sovrapposizioni e ridondanze. Ciò richiede una riflessione approfondita ed, eventualmente, un intervento regolatore che possa dare una più ordinata distribuzione delle frequenze, cosa che poi si tradurrebbe anche in una maggiore efficienza del sistema. In ultima analisi, volendo essere più chiari, la televisione si potrebbe vedere anche meglio se ci fosse una distribuzione più razionale delle frequenze.
Per quanto riguarda la golden share, le privatizzazioni possono incrementare l'efficienza delle imprese nella misura in cui la loro esposizione al rischio di scalata permette alle forze di mercato di esercitare un controllo sulla performance dell'impresa e sull'operato del management. Talvolta, quando vengono lasciati ingiustificati poteri all'azionista di minoranza pubblico, i meccanismi di mercato non sono in grado di operare pienamente.
È questo, ad esempio, il caso dei cosiddetti poteri speciali nella golden share di cui alla legge n. 474 del 1994, poi modificata successivamente e, da ultimo, della legge n. 350 del 2003, cioè la legge finanziaria 2004.
Sappiamo che in una serie di pronunce adottate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee l'Italia, ma non solo (eravamo in buona compagnia) è stata «condannata» per via dei regimi nazionali che riservano al Governo determinate prerogative di intervento sulla struttura azionaria, sulla gestione delle imprese privatizzate appartenenti a settori importanti, strategici dell'economia. Al fine di adeguare la normativa interna alle decisioni della Corte, la legge finanziaria per il 2004 ha introdotto novità importanti per quanto riguarda la disciplina della golden share, conformando così la normativa italiana in materia ai principi comunitari.

 

 

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L'autorità naturalmente, non può che giudicare positivamente queste previsioni che circoscrivono le condizioni che giustificano le restrizioni connesse alla golden share e quindi la discrezionalità del Governo in ordine all'attivazione dei poteri speciali.
L'opposizione, a differenza del potere di gradimento che si configura come un'autorizzazione preventiva, realizza un intervento ex post, per definizione più rispettoso dell'autonomia decisionale degli investitori.
In secondo luogo, il potere di opposizione risulta limitato nel tempo, potendo essere attivato entro termini rigorosi e molto ristretti. Infine, gli interventi del Ministro, che possono aver luogo solo in caso di concreto pregiudizio agli interessi vitali dello Stato, devono essere motivati e possono essere sottoposti a controllo giurisdizionale. Insomma si è seguito fedelmente quel fascio di indicatori e parametri di legittimità che la Corte di giustizia aveva indicato in particolare nella controversia con il regno del Belgio.
Passiamo ora alla nuova disciplina sulla vendita delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici. Quanto alle modalità di dismissione delle partecipazioni azionarie pubbliche, la novità riguarda il passaggio da un sistema focalizzato prevalentemente sull'offerta pubblica di vendita ad uno basato su procedure trasparenti, non discriminatorie, finalizzate anche alla diffusione dell'azionariato tra il pubblico dei risparmiatori e degli investitori istituzionali.
Tale previsione modifica l'articolo l, della legge n. 474 del 1994, che aveva manifestato una certa preferenza per il modello della public company, disponendo che la vendita delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici avvenisse di norma mediante offerta pubblica di vendita.

 

 

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Con le modifiche introdotte dalla legge finanziaria 2004, l'impostazione originaria viene in parte abbandonata. Saranno i principi di trasparenza e di non discriminazione a delimitare d'ora in poi la discrezionalità del Governo. Viene così ampliata opportunamente e resa più flessibile la gamma delle tecniche a disposizione per la dismissione di imprese direttamente o indirettamente controllate dallo Stato.
L'effetto atteso dal Governo con la modifica della disciplina è quello di imprimere una maggiore accelerazione alle privatizzazioni sostanziali. Al riguardo, è importante che, nella pratica, i principi di trasparenza e di non discriminazione non restino mere enunciazioni di principio. Pertanto è necessario che le ragioni di eventuali esclusioni siano motivate chiaramente, in modo da poter valutare il loro carattere necessario e proporzionato.
Sui servizi pubblici locali in particolare si tratta di un capitolo più ampio sul quale sarebbe forse opportuno aprire una riflessione più approfondita.

PRESIDENTE. Ringraziamo il professor Tesauro per la sua interessante esposizione. Mi ricollego all'ultimo cenno sui servizi pubblici locali per ricordare che il tema è trattato anche nell'ambito del Comitato permanente sulla finanza territoriale; quindi, sicuramente, ci sarà un'ulteriore occasione di incontro specificamente su questo tema. Passiamo agli interventi da parte dei colleghi.

BENITO SAVO. Ad un certo punto del suo intervento il presidente Tesauro afferma che l'Autorità di regolazione, quali che siano i suoi poteri, risulta fortemente vincolata dall'asimmetria informativa rispetto al soggetto regolato, potrebbe essere più esplicito al riguardo?

 

 

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LAURA PENNACCHI. Una relazione così interessante avrebbe richiesto una pausa di riflessione, tuttavia, trovandomi costretta ad interloquire immediatamente come le circostanze ci impongono, sfrutterò comunque la preziosità dell'occasione porgendo al presidente Tesauro alcune brevi domande. I dati e le riflessioni che ci sono stati offerti sono talmente ricchi che dovremmo creare le condizioni per una ulteriore audizione, non solo su elementi specifici riguardanti i servizi di pubblica utilità, ma anche per portare avanti una riflessione di tipo teorico sulle tante notazioni che il presidente ha offerto nel corso del suo intervento.
Il professor Tesauro ci ha fatto notare come non ci sia coincidenza tra privatizzazioni e liberalizzazioni e come non sia affatto pacifico che procedere soltanto attraverso privatizzazioni porti ad un incremento dell'efficienza complessiva, soprattutto per il fatto che queste, da sole, non impediscono che ad un monopolio pubblico si sostituisca un monopolio, o un oligopolio, privato.
Sono anche molto interessanti le notazioni sulla opportunità di superare l'ottica, nettamente prevalente date anche le circostanze, di privatizzare per fare cassa, segnalando la necessità di valutare con molta più sottigliezza i contributi forniti dalle più recenti teorie economiche in merito alle asimmetrie informative, alla riproposizione di questioni di selezione avversa e di rischio morale. Le più recenti riflessioni ci segnalano come sia preferibile mantenere una proprietà pubblica in alcune fasi delle filiere e come l'aspetto decisivo per aumentare l'efficienza non risiede soltanto nella modifica dell'assetto proprietario in quanto occorrono molti altri elementi di regolazione.
La mia impressione è che tutto ciò ci riporta ad una riflessione sulla natura dell'intervento pubblico moderno, che

 

 

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dovrebbe prevedere spazi di attività di regolazione, denunziando, però allo stesso tempo, l'insufficienza della retorica della governance.
Quando si operano privatizzazioni in forme poco meditate rispetto alla complessità delle problematiche che il professor Tesauro ci suggerisce di tenere presente, corriamo il rischio di trovarci di fronte ad un decisionismo politico che porti poi ad una sorta di «statalismo privatistico» assolutamente da evitare. Il caso della Cassa depositi e prestiti mi sembra esemplare da questo punto di vista.
Una sottolineatura che non posso esimermi dal fare riguarda le comunicazioni. Dovremmo prendere atto del peso della constatazione che l'integrazione tra infrastrutture e impianti di frequenze è una peculiarità del settore italiano che potrebbe risultare fattore di ostacolo ad uno sviluppo realmente competitivo del futuro mercato dell'accesso ai contenuti sulle piattaforme digitali. Una delle filiere più importanti per lo sviluppo futuro dell'Italia, che oggi attraversa una fase molto difficile, come ci ha documentato il rapporto ISTAT di ieri, per evolvere verso l'economia dell'informazione e l'economia della conoscenza, appare bloccata sul fronte dello sviluppo economico. Ci troviamo, quindi, in una situazione gravissima, non solo per l'assetto in sé di questo settore, ma per le implicazioni ulteriori sul benessere e lo sviluppo economico complessivo che ne possiamo ricavare.
Le ultime notazioni sulle nuove discipline dei cosiddetti poteri speciali mi fanno venire in mente anche delle riflessioni che ci erano state fatte dal presidente della Consob in merito alle modalità di dismissione delle quote residue di Telecom ed ENEL. Il presidente Cardia ha definito tali modalità atipiche, in quanto pongono problematiche di conflitto di interessi, di

 

 

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trasparenza, di prezzi di vendita e di collocamento successivo. Forse esiste una connessione tra queste modalità di dismissione e la disciplina di cui ci dovremmo dotare.

PRESIDENTE. Non essendoci altri interventi, do la parola al presidente Tesauro per le repliche.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. L'asimmetria a cui faceva riferimento prima l'onorevole Savo riguarda soprattutto l'analisi e la trasparenza dei costi, perché l'Autorità di Napoli, in quanto regolatrice, ha il compito di verificare la congruità delle tariffe di accesso alla rete e di fissarle. Naturalmente il punto di partenza per fissare una tariffa in modo da non penalizzare un operatore è quella del costo.
Molto spesso il costo non lo conosce neppure il soggetto regolatore. Le dirò di più: qualche volta non lo conosce - o solo approssimativamente - lo stesso operatore! Da ciò possono nascere, per usare un eufemismo, degli «equivoci».
Comunque, si tratta di una realtà riguardante tutte quelle situazioni in cui si ha a che fare con un'infrastruttura o una rete, dove un operatore è proprietario di tale rete ed altri devono passare attraverso l'accesso a quella rete (quindi attraverso l'operatore incumbent) al fine di operare.
È un po' il discorso dei cordoni della borsa: l'operatore incumbent può restringere o allargare i cordoni dell'accesso alla rete. Questo è un fenomeno che è diventato un po' il leitmotiv di tutte le public utilities in questa vicenda. Il tema delle privatizzazioni, infatti, tocca molto da vicino il campo delle public utilities (quindi, il settore dove esiste questo fenomeno e anche questa possibile patologia). Noi ce ne accorgiamo quando, nei nostri interventi ex post, qualche volta ci capita di dover andare a controllare la congruità delle tariffe

 

 

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di accesso. Ci scontriamo allora proprio con questa patologia, la quale costituisce spesso un inconveniente notevole, che può anche produrre dei danni, soprattutto a livello dei consumatori. Infatti, alla fine, tutto questo discorso si ripercuote sui consumatori e costoro non sono solo i privati cittadini, le famiglie, di cui tanto si parla ma principalmente le imprese: queste ultime hanno i maggiori pregiudizi (lo stesso vale anche per la bolletta elettrica o del gas). Si pensi che, in media, per un'impresa italiana c'è un 20 per cento in più rispetto all'omologo tedesco o francese: è una patologia tutta italiana!

BENITO SAVO. La ringrazio per la sua replica e soprattutto per i giudizi positivi espressi sulle finanziarie che abbiamo prodotto, dove abbiamo cercato di rimediare a più di un problema.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'autorità garante della concorrenza e del mercato. Per quanto riguarda le riflessioni svolte dall'onorevole Pennacchi, sono d'accordo. Vorrei aggiungere che, dal punto di vista di un'autorità di tutela della concorrenza non esiste una dicotomia pubblico- privato: noi siamo assolutamente neutrali rispetto al pubblico e al privato.
Questa è una sottolineatura che desidero fare sia alla luce dei principi generali di tutela della concorrenza, sia dal punto di vista della derivazione di questa materia e disciplina dal contesto comunitario.
Quello dell'assoluta neutralità tra pubblico e privato è infatti un principio sancito dal Trattato. Naturalmente, in alcuni paesi, questi neutralità si traduce in fatti, essendo effettivamente possibile che rimanga una tale neutralità tra pubblico e privato. Ci sono, invece, altri paesi dove, qualche volta, è necessario che il processo di liberalizzazione sia accompagnato anche da un processo di privatizzazione. Dal

 

 

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punto di vista teorico questo non sarebbe neppure necessario poiché a noi interessa la liberalizzazione del mercato. La privatizzazione è un fatto ulteriore che, in qualche caso, si è rivelato necessario (in particolare, in alcuni settori).
Per quanto riguarda la possibilità di questo nuovo modello focalizzato e incentrato sulla Cassa depositi e prestiti, bisognerà vedere come sarà il reale ed effettivo funzionamento di questo meccanismo che ha coinvolto - coinvolge - anche le fondazioni e, quindi, un mondo assai variegato ed articolato. Può essere una soluzione interessante, ma bisogna vedere come verrà fatto funzionare questo meccanismo.
Per quanto riguarda le telecomunicazioni, in particolare nei media, la preoccupazione dell'autorità antitrust è, ancora una volta, che si riproduca o, addirittura, si consolidi nel settore ciò che già vediamo per il settore delle telecomunicazioni o dell'energia elettrica, cioè che uno o più operatori (nel caso dei media ce ne sono due, ma la situazione cambia poco) siano verticalmente integrati in tutta la filiera, trovandoli sempre presente nel passaggio della rete, dei contenuti, fino al passaggio della pubblicità (che poi, evidentemente, è il luogo dove finiscono tutte le ambizioni umane).
Un tale filiera verticale può produrre quell'effetto potenzialmente negativo - non è detto che sia tale ma potenzialmente lo è - dato dalla titolarità e dalla gestione dei cordoni della borsa rispetto agli altri soggetti potenziali concorrenti. Da questo punto di vista, la titolarità della rete, cioè degli impianti e delle frequenze (nell'era digitale si chiameranno multiplex) è un po' temperata, giustamente, perché la legge ha disciplinato questo settore, prevedendo che il 40 per cento della capacità trasmissiva sia messa a disposizione degli operatori di contenuti.

 

 

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Questo fatto può essere il volano per uno scenario competitivo e di pluralismo. Ancora c'è - lo vediamo attualmente - il consolidarsi del potere di mercato dei due operatori tradizionalmente dominanti, tuttavia, vi è anche la possibilità che, nella fase della cessione dei contenuti, se certamente i due operatori principali continueranno ad avere i cordoni della borsa, la legge imponga loro di allargarli per il 40 per cento agli operatori di contenuti. Questo fatto apre un po' il cuore alla speranza.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Tesauro per la sua interessante esposizione, salutando altresì i collaboratori che lo hanno accompagnato, la dottoressa Ciccone, il professor Grillo, il dottor Alatri e la dottoressa Creatini. La vostra testimonianza arricchisce la nostra indagine e quelle che seguiranno. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15.50.