BOZZA NON CORRETTA |
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14.55.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori
della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a
circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva
sulle politiche di privatizzazione, l'audizione del presidente dell'Autorità
garante della concorrenza e del mercato. Prima di dare la parola al professor
Tesauro, desidero svolgere qualche breve considerazione introduttiva per
ricordare gli obiettivi che la Commissione si prefigge con l'indagine
conoscitiva.
In sostanza, si tratta di chiarire quali indirizzi debbono essere perseguiti
nella gestione delle partecipazioni tuttora detenute da enti pubblici, a
cominciare dal Tesoro, per proseguire con gli enti territoriali, e quali
problemi di carattere giuridico, economico e finanziario possono porsi
relativamente ad eventuali e successive alienazioni che dovessero essere
effettuate.
Alla luce di questi obiettivi, mi pare evidente che l'odierna audizione assume
particolare importanza, non soltanto alla luce dei poteri che l'ordinamento
attribuisce all'Autorità, ma anche in relazione al ruolo assai positivo che
l'Autorità ha svolto negli ultimi anni.
Mi riferisco, in particolare, alle segnalazioni trasmesse al Parlamento nel
corso dell'esame di provvedimenti legislativi, che hanno sempre sollecitato il
legislatore a considerare con la necessaria attenzione profili della massima
delicatezza, quali sono quelli che attengono alle politiche di privatizzazione.
Si è in questo modo attivato un circuito «virtuoso» di proficua
interlocuzione tra il Parlamento e un organo di altissima competenza tecnica
qual è l'Autorità.
Ritengo, in particolare, opportuno dare atto all'Autorità di aver saputo
interpretare in maniera duttile e intelligente il principio della tutela della
concorrenza, facendolo calare nella realtà concreta degli assetti produttivi,
economici e finanziari del paese.
Esemplare mi sembra, in proposito, il recente richiamo, da parte dell'Autorità,
all'esigenza di preservare le finalità pubblicistiche per quanto concerne le
reti impiegate per la prestazione di servizi pubblici essenziali, quali sono
quelli elettrici.
L'indagine è ispirata proprio a questa logica, nella convinzione che le
decisioni da assumere per quanto concerne la cessione di partecipazioni
pubbliche non possono limitarsi alla acquisizione per l'erario di maggiori
entrate, ma debbono garantire anche una adeguata tutela dell'utenza e dei
consumatori, favorire la realizzazione di politiche industriali per il
rafforzamento del sistema produttivo e promuovere la crescita del sistema
finanziario.
Per questo motivo mi permetto di sollecitare il presidente dell'Autorità su
alcune recenti novità.
Ricordo, in primo luogo, la trasformazione della Cassa depositi e prestiti in
SpA e la scelta di conferire alla nuova Cassa una quota consistente delle
partecipazioni dallo Stato in Enel, Eni e Poste Italiane Spa. In questo modo
l'istituto può diventare uno snodo fondamentale negli assetti proprietari del
sistema produttivo e finanziario nazionale, anche in considerazione
dell'ingresso nel suo capitale di alcune fondazioni, la cui collocazione nel
nostro sistema finanziario presenta tuttora forti peculiarità. Allo stato non
è chiaro se si prefiguri la trasformazione della Cassa in una sorta di holding
che per certi versi può evocare esperienze, positive e negative, già vissute
nel nostro paese.
Un secondo aspetto da approfondire concerne le modalità «originali» cui il
Governo ha recentemente fatto ricorso per alcune importanti operazioni di
collocamento di partecipazioni detenute, a partire da una quota di ENEL per
proseguire con Terna.
Un terzo aspetto riguarda le recenti modifiche apportate alla normativa relativa
alla golden share, che a breve dovrebbero tradursi nell'inserimento di
specifiche clausole statutarie in importanti società pubbliche, e la disciplina
relativa ai servizi pubblici locali, alla luce delle novità apportate
dall'ultima legge finanziaria e delle iniziative di riassetto in corso o
preannunciate. Do ora la parola al professor Tesauro, il quale esporrà una
breve relazione.
GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Vi ringrazio per avere invitato l'Autorità che presiedo a fornire il proprio contributo di riflessione sulle politiche di privatizzazione realizzate in questi anni e su quelle ancora da realizzare in Italia. Il mio
intervento si focalizzerà soprattutto sul rapporto tra concorrenza e
privatizzazioni per evidenziare la correlazione non sempre automatica che esiste
tra le due nozioni, per poi fornire eventualmente alcuni spunti di riflessione.
In linea teorica, innescando benefici processi di riorganizzazione della
struttura proprietaria delle imprese pubbliche, le privatizzazioni possono
condurre a sensibili miglioramenti strutturali dei mercati dal punto di vista
dell'operare dei meccanismi concorrenziali. Più specificamente, restituendo
molte società a dimensioni di efficienza gestionale e competitività, esse
consentono il superamento di taluni limiti connessi alla loro gestione pubblica.
È ormai largamente acquisito, infatti, che la proprietà pubblica, oltre a
imporre al management obiettivi che talora entrano in conflitto con il
conseguimento dell'efficienza produttiva e allocativa, impedisce che venga
esercitata sui comportamenti d'impresa la disciplina del mercato per il
controllo proprietario, con effetti nel lungo periodo assai negativi sulla
profittabilità e sull'efficienza dell'impresa.
In secondo luogo, l'accesso delle imprese pubbliche a forme di finanziamento
statale in parte svincolate dal controllo di mercato, quali ad esempio i fondi
di dotazione e le garanzie offerte dallo Stato sul capitale di debito,
introducono rilevanti distorsioni alla concorrenza nei mercati in cui tali
imprese si trovano a competere con operatori privati che non dispongono di
analoghe facilitazioni finanziarie.
In terzo luogo, l'impresa pubblica spesso dispone di un potere di mercato tale
da poter realizzare condotte escludenti ai danni dei concorrenti attivi nei
settori a monte, a valle o contigui rispetto a quello ove storicamente detiene
la posizione dominante l'impresa incumbent.
Al fine di svolgere una analisi il più possibile lineare e razionale, appare
indispensabile chiarire, innanzitutto, il rapporto tra privatizzazione e
liberalizzazione, quest'ultima essenziale complemento per evitare che il
cambiamento della natura del controllo societario si risolva in una mera
trasformazione del monopolio pubblico in monopolio privato, senza alcun avvio
del gioco competitivo.
In Italia, purtroppo, gli obiettivi di tutela e promozione della concorrenza
stentano ad affermarsi nell'ambito delle privatizzazioni. Infatti, la vendita di
un monopolio è sempre privilegiata dai ministeri che sovrintendono alle entrate
pubbliche, perché apparentemente più vantaggiosa per le casse dello Stato,
sicché il dibattito sul se privatizzare è stato ed è a tutt'oggi normalmente
svolto nell'ottica di far fronte alle esigenze di riequilibrio della finanza
pubblica. Pur essendo innegabile la necessità di far fronte alÌ esigenza di
risanamento del debito pubblico, non si può però commettere l'errore di far
prevalere l'obiettivo «di fare cassa» rispetto a quello di ristrutturare gli
assetti dei principali settori economici nazionali, prima della privatizzazione,
secondo i principi del libero mercato. Tra l'altro, anche l'obiettivo di
apertura dei mercati non sempre implica una totale privatizzazione dei settori,
potendo essere talvolta economicamente preferibile il mantenimento di alcune
fasi della filiera «in mano pubblica».
Con riferimento alla nozione di privatizzazione, essa individua la fase di
passaggio del controllo, in termini di effettivo esercizio del potere di
gestione, dallo Stato a soggetti terzi privati. Può sembrare superfluo un
simile chiarimento, ma se si guarda alla realtà nazionale si può constatare
come spesso si sia usato impropriamente il termine privatizzazione per
qualificare semplici dismissioni di quote, senza alcuna perdita del controllo
dell'impresa da parte della «mano pubblica».
Attualmente, o perché si sono realizzate solo forme di dismissione, come sopra
definite, o perché solo proclamate ma mai avviate, rimangono diverse aree
dell'economia nazionale con una dominante presenza di operatori pubblici. A
tutt'oggi, infatti, restano sotto il controllo dello Stato alcune importanti
imprese, tra cui Ferrovie dello Stato, Alitalia, RAI, Enav, Istituto Poligrafico
e Zecca dello Stato Spa, Fintecna ed altre. A queste devono aggiungersi poi le
società di gestione dei servizi pubblici locali (ma questo è un capitolo che,
purtroppo, comincia ad essere abbastanza dolente).
Sul permanere di un simile controllo deve essere puntualizzato che non sempre
questo deve essere valutato in termini negativi. L'Antitrust ha più volte
sottolineato che, in specifiche fasi della filiera produttiva, normalmente le
fase centrali di trasmissione/trasporto, può essere opportuno, se non
addirittura necessario, conservare la natura pubblica dell'impresa. Si tratta
dei contesti nei quali risulta elevato il rischio di fallimento del mercato.
Tuttavia, anche in tali casi, va attentamente valutato se sia possibile 1'uscita
dello Stato con un processo di privatizzazione e l'intervento più efficiente di
un soggetto terzo regolatore in grado di assicurare condizioni di accesso eque,
trasparenti e non discriminatorie (svilupperò più avanti questo punto).
L'analisi economica trasfusa negli interventi dell'autorità antitrust ha reso
evidente che la scelta di mantenere una struttura verticalmente integrata
conserva in capo all'operatore ex-monopolista un incentivo a sfruttare il
proprio potere di mercato su una fase della filiera per disincentivare, o
comunque non agevolare, lo sviluppo di politiche competitive o aggressive da
parte dei potenziali concorrenti attivi a monte o a valle. In particolare, la
generalità dei settori investiti, o parzialmente investiti dai processi di
privatizzazione, presentano
un mercato centrale con tutte le caratteristiche del monopolio naturale o dei
limiti tipici che conducono al fallimento del mercato. Si tratta delle reti di
trasmissione necessarie e non duplicabili (almeno non immediatamente, non
facilmente e non con costi intollerabili) per il trasporto dell'energia
elettrica, del gas naturale o, ancora, per i servizi di telecomunicazione e
ferroviari. Al riguardo, anche laddove i processi di privatizzazione si sono
realizzati (per esempio, nel settore delle telecomunicazioni) o dove dovrebbero
realizzarsi a breve (per esempio, nel settore dell'energia elettrica), rimane il
problema connesso alla soluzione di privatizzare il leader nazionale,
lasciando in essere una struttura verticalmente integrata lungo tutte le fasi
della filiera produttiva e distributiva.
Privatizzare l'operatore leader integrato verticalmente crea le
condizioni di un monopolio di rete e ciò incentiva 1'uso strumentale dei
diritti di passaggio per ostacolare la concorrenzialità nei mercati a monte o a
valle, solo teoricamente liberalizzati. In assenza di scelte radicali di
separazione proprietaria tra le diverse fasi verticalmente integrate, i processi
di privatizzazione o dismissione rischiano di rendere sterile nel futuro il
tentativo di avviare il gioco concorrenziale tra l'ex-monopolista e i terzi
nuovi entranti nei mercati potenzialmente liberalizzati. Comunque, anche la
separazione verticale non sempre è sufficiente. L'entità che risulta detenere
il controllo della fase centrale della filiera produttiva, quindi, dei
cosiddetti diritti di passaggio/accesso richiede un'oculata attività di
regolazione, anche quando è privatizzata. Separazione e regolazione non possono
essere scisse, nel senso che, laddove manca la prima risulta impotente la
seconda. L'interesse a controllare l'accesso per limitare la competitività dei
concorrenti a monte o a valle da parte del soggetto privatizzato,
ma non verticalmente separato, si è rivelato un fenomeno spesso
condizionante l'efficiente ed efficace intervento regolatorio.
L'intervento antitrust, che è di tipo ex post, è certamente possibile
ma, in questo caso, non agevole ed è spesso esposto al rischio di
sovrapposizioni nei ruoli con l'autorità di regolamentazione settoriale. Questo
dovrebbe indurre ad un ripensamento dei ruoli tra le diverse autorità, o
meglio, alla ricerca di strumenti e di spazi per rendere più permeabili le
rispettive funzioni in vista di un reale sviluppo competitivo dei mercati.
Passiamo ora ad esaminare i processi di privatizzazione e liberalizzazione dei
principali settori economici in Italia. Cominciamo dalla telefonia. A questo
proposto, merita di essere sottolineato il rischio concreto di condotte
escludenti poste in essere dall'ex-monopolista pubblico rimasto, dal punto di
vista della proprietà, verticalmente integrato. L'accesso alla rete è,
infatti, uno strumento essenziale per i concorrenti, a monte e a valle, con la
conseguenza di un possibile accesso strategicamente restrittivo a danno dei
terzi da parte dell'operatore integrato dal punto di vista proprietario. Il
ricorso alla regolamentazione di settore risulta essenziale ma è condizionato,
proprio per il permanere del legame proprietario, dal medesimo soggetto
regolato. L'autorità di regolazione (in questo caso l'autorità di garanzie
delle comunicazioni con sede a Napoli), quali che siano i suoi poteri, risulta
fortemente condizionata dall'asimmetria informativa, rispetto al soggetto
regolato. A sua volta, quest'ultimo, ha maggiori incentivi a sfruttare tale
vantaggio per condizionarne l'intervento a suo favore in presenza di una
struttura verticalmente integrata.
L'antitrust ha frequentemente osservato come un simile legame rischi di rendere
solo teorico il principio di accesso equo e a condizioni trasparenti. L'uso di benchmark
europei
e criteri come la best practice, appaiono necessari affinché dati di
costo storici, difficilmente accertabili, rendano la tariffa, che pure è
regolata, un ostacolo per l'operare competitivo dei soggetti terzi. Questo
dimostra come la regolamentazione ex ante non possa essere sufficiente
senza una riorganizzazione strutturale anteriore ai processi di privatizzazione
e liberalizzazione. Regolazione e tutela del mercato richiedono, insieme ad una
più oculata politica industriale in materia, la condivisione di un pensiero
comune e lo sviluppo di forme di stretto coordinamento per l'armonizzazione
delle rispettive politiche e l'individuazione dei rispettivi ruoli. La
regolamentazione deve intervenire nella fase di accesso alle infrastrutture e
nelle fasi a valle o a monte solo nel periodo di avvio del mercato
liberalizzato. La tutela del mercato deve, invece, assicurare costantemente,
dato questo scenario, il controllo ex post, cioè il controllo antitrust.
Passiamo ora al settore dell'energia elettrica, dove il tanto atteso processo di
privatizzazione non si è ancora compiuto. Nell'attesa e in questa fase di mera
dismissione, l'autorità ha più volte espresso il convincimento che la
riunificazione tra la proprietà e la gestione della rete elettrica possa
rappresentare un miglioramento della originaria impostazione del processo di
liberalizzazione del settore (sappiamo che ENEL ha solo la nuda proprietà della
rete di trasmissione elettrica), in particolare in quanto contribuisce a
predisporre incentivi più stringenti ad effettuare gli investimenti in
infrastrutture di trasmissione idonei a sostenere l'incremento di offerta
necessario a coprire il crescente fabbisogno interno. Le esperienze della scorsa
estate hanno reso evidente che l'attuale dotazione infrastrutturale di rete è
inadeguata a coprire le crescenti esigenze del sistema economico italiano. Le
gravi debolezze del sistema nazionale di approvvigionamento elettrico si
riflettono
anche sullo specifico funzionamento del mercato, in quanto ostacolano la
concorrenza tra gli operatori presenti e pregiudicano le condizioni di entrata
da parte dei concorrenti potenziali.
Indipendentemente da scelte eventualmente già effettuate dal legislatore in
ordine alla privatizzazione dell'operatore di rete, merita di essere
sottolineato che, ai fini della sicurezza degli approvvigionamenti e della
continuità del servizio, il sistema di rete dovrebbe dare adeguato risalto
all'obiettivo di assicurare costantemente la disponibilità di un livello
adeguato di capacità trasmissiva. Tale obiettivo potrebbe non essere
agevolmente perseguito da parte di operatori guidati da logiche privatistiche,
con il conseguente rischio di una sistematica carenza delle dotazioni
infrastrutturali. Ciò implica che l'assetto ideale dovrebbe lasciare in mano
pubblica il sistema di rete, procedendo invece alla privatizzazione dei mercati
a monte e a valle.
In ogni caso, indipendentemente dalla scelta che attiene alla natura pubblica o
privata del soggetto proprietario e gestore dell'infrastruttura di rete,
l'Autorità antitrust ha ribadito, anche recentemente, che la completa
separazione proprietaria tra rete di trasmissione elettrica ed operatori attivi
nelle fasi a monte (generazione) ed a valle (distribuzione e vendita) è
essenziale affinché l'operatore di rete mantenga, sia in materia di accesso
alla rete, sia con riferimento al dispacciamento degli impianti di generazione,
i profili di terzietà e di indipendenza necessari affinché nel mercato
elettrico operino effettive condizioni concorrenziali. In quest'ottica ci si
domanda perché mantenere quote dell'incumbent, anche se con diritti di
voto congelati al 5 per cento.
Chiarita l'esigenza di una netta separazione verticale, appare centrale fare una
qualche considerazione sull'avviato
processo di liberalizzazione nel mercato a valle della vendita finale.
Infatti, proprio nell'aprile 2004 ha visto la luce la cosiddetta Borsa
elettrica. La realtà di questi giorni sta dimostrando che senza un processo di
reale apertura dal lato dell'offerta nessun effetto competitivo è da attendere
e nessun impatto sui prezzi realisticamente sperabile. Anzi, il permanere di un
elevato grado di concentrazione nell'offerta rischia di consentire al leader di
mercato di mantenere politiche di prezzi crescenti senza alcun incentivo a
strategie aggressive da parte di terzi concorrenti/clienti a valle. In altri
termini, la presenza dell'incumbent in posizione dominante nella fase
dell'approvvigionamento, gli scarsi investimenti da parte di terzi nella
generazione, i colli di bottiglia nella rete, sono tutti fattori che rendono
ancora elevatissimo il potere di mercato esercitato dall'ex-monopolista nella
vendita finale. I suoi concorrenti sono normalmente clienti
nell'approvvigionamento. Liberalizzare senza pianificare e incentivare
l'ingresso di nuovi-indipendenti offerenti si rivela una operazione di mera
facciata. Semplificare le procedure di autorizzazione per la realizzazione di
nuove centrali, incentivare i processi di potenziamento degli impianti
esistenti, evitare l'uso strumentale del controllo della rete e dei suoi
miglioramenti attraverso la separazione proprietaria, sono priorità senza la
cui realizzazione non si può parlare di liberalizzazione.
A ciò si aggiunga che la stessa regolamentazione non può supplire ai problemi
di tipo strutturale richiamati. È indubbio che l'intervento regolatorio può
limitare alcune condotte restrittive ( quali l'introduzione di contratti
differenziali che sterilizzano estrazioni di profitti crescenti), volte a
incentivare politiche (tacite o esplicite) di prezzi non aggressivi. Tuttavia,
si tratta di interventi di breve periodo e utili nella fase di avvio che non
possono assicurare un reale processo di apertura dei
mercati con effetti positivi per il benessere sociale se tale processo è
impedito da una struttura industriale ancora strutturata a «vantaggio» dell'incumbent.
Anche con riferimento al settore del gas naturale valgono le stesse
considerazioni di principio svolte per il settore dell'energia elettrica.
Affinché gli attesi processi di privatizzazione e liberalizzazione si
realizzino e perché le necessarie misure di incentivo alla concorrenza, da
implementare nella fase a monte dell'approvvigionamento, siano in grado di
esercitare i propri effetti sul mercato della vendita, appare necessario
eliminare ogni residua possibilità, in capo all'impresa incumbent, di
influenzare il gioco competitivo con comportamenti opportunistici nei segmenti
monopolistici (trasporto internazionale, trasporto nazionale e stoccaggio ).
Posto che a livello nazionale appare sempre indispensabile procedere ad una
separazione verticale di tipo proprietario tra rete e resto delle attività a
monte e a valle, con riferimento alle infrastrutture internazionali di trasporto
di gas, si deve evidenziare la criticità rappresentata dalla posizione di Eni
nell'assetto di controllo delle società estere proprietarie delle
infrastrutture e/o nella disponibilità quasi esclusiva dei relativi diritti di
transito. La soluzione preferibile per evitare di sterilizzare qualunque
processo di privatizzazione-liberalizzazione e per incentivare potenziamenti non
rinviabili, sarebbe prevedere una separazione proprietaria completa tra le
attività di vendita sul mercato nazionale e quelle di trasporto internazionale.
Nell'immediato, si ritiene necessario procedere quanto prima all'identificazione
di un percorso normativo (ad esempio in sede di recepimento della direttiva
comunitaria n. 55 del 2003) che porti ad una gestione meno opaca, da parte di
ENI, dei gasdotti internazionali. Come soluzione definitiva, invece,
si auspica, come detto, la cessione da parte di ENI delle quote di capitale
sociale detenute in SNAM Rete Gas e dell'intera partecipazione detenuta in
Stogit. Esito di tale processo dovrebbe essere la creazione di un Indipendent
Sistem Operator (ISO) che detenga e gestisca le infrastrutture di
trasporto e di stoccaggio. Questa misura sembra necessaria, inoltre, per
superare i problemi regolatori e competitivi connessi alla verifica delle
condotte delle attuali società (SRG e Stogit) rispetto ai terzi, e per la
creazione di incentivi al potenziamento delle infrastrutture di trasporto ed
infrastrutture di stoccaggio.
Passando al settore
radiotelevisivo, va anzitutto sottolineato che l'operare di meccanismi
concorrenziali costituisce condizione essenziale ma non sufficiente a garantire
il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione. Va poi evidenziato che la
RAI, dovendo essere quotata sui mercati azionari, dovrebbe competere nella
raccolta pubblicitaria radiotelevisiva, massimizzando i propri profitti. In
considerazione del fatto che il prezzo borsistico di una società è dato dal
valore scontato dei profitti attesi futuri, la RAI dovrà necessariamente
tendere a massimizzare il valore dei ricavi derivanti dalla raccolta
pubblicitaria. La creazione di una società quotata in borsa, dotata peraltro di
peculiari regole di corporate governance che non garantiscono un
controllo stabile da parte degli azionisti delle attività del management,
potrebbe risultare incoerente con l'obiettivo di affidare, per concessione e
sulla base di contratti di servizio stipulati con il Ministero delle
comunicazioni e gli enti locali, lo svolgimento del servizio pubblico generale
radiotelevisivo. Tale servizio, infatti, comporta qualificati obblighi in
termini di estensione e contenuti dell'informazione e di missioni di utilità
sociale.
Considerato che lo svolgimento per concessione del servizio pubblico generale
radiotelevisivo e la massimizzazione dei profitti risultano obiettivi
difficilmente conciliabili, il soddisfacimento di entrambi da parte di una
società destinata ad essere quotata sul mercato borsistico potrebbe non
risultare adeguato al perseguimento delle due funzioni. Né, a tal fine, la mera
separazione contabile appare uno strumento sufficiente a disciplinare il
comportamento societario e garantire l'effettiva separazione delle attività
dell'azienda regolamentata.
Di conseguenza, la nuova struttura organizzativa della RAI non appare idonea
alla costituzione di un soggetto che possa svolgere in modo efficiente l'attività
di servizio pubblico generale e contemporaneamente competere efficacemente con
gli altri operatori nel mercato della raccolta pubblicitaria, assicurando
un'adeguata pressione concorrenziale nei riguardi dell'altro operatore storico
presente nel settore.
L'Autorità ha più volte ribadito che il perseguimento dell'obiettivo di
servizio pubblico generale, nonché l'esigenza di assicurare un'adeguata
pressione concorrenziale nel mercato nazionale della raccolta pubblicitaria
richiede un intervento strutturale quale la separazione societaria, ovvero la
creazione, così come avviene nel Regno Unito con la BBC e Channel 4, di due
società distinte: la prima con obblighi di servizio pubblico generale
finanziata attraverso il canone, la seconda, a carattere commerciale, che
finanzia le proprie attività attraverso la raccolta pubblicitaria. Per
quest'ultima sarebbe auspicabile sia il collocamento delle azioni sul mercato
borsistico, così come attualmente previsto, sia la definizione di regole di corporate
governance che garantiscano un effettivo controllo dell'operato del
management.
Con riferimento poi al settore dei media, appare centrale ribadire che il
processo di privatizzazione, non accompagnato
ad un ripensamento della struttura verticalmente integrata, rischia di non
condurre ad esiti pro-competitivi nei mercati a valle dei contenuti e della
raccolta pubblicitaria, in considerazione del prossimo passaggio dall'analogico
al digitale.
Sul punto, due sembrano essere i nodi concorrenziali e regolatori da affrontare.
Il primo, è la presenza di una struttura verticalmente integrata (che va dalla
disponibilità degli impianti trasmissivi, quindi al controllo sull'accesso ai
contenuti, alla disponibilità delle frequenze, alla produzione di contenuti,
sino alla raccolta pubblicitaria). Il secondo nodo è la necessità di un nuovo
intervento di tipo regolatorio e di una nuova analisi concorrenziale, in grado
di assicurare un'equa ed efficiente riallocazione delle risorse indispensabili
alla presenza di più operatori dimensionalmente in grado di competere con
prodotti differenziati e di qualità.
In Italia, diversamente da altri paesi membri della famiglia comunitaria, il
settore dei media presenta due elementi caratteristici. Il primo è la forte
integrazione dei principali attori (la filiera verticale completa) sia per
l'operatore pubblico, sia per l'altro grande operatore. Ciò potrebbe
naturalmente determinare un ostacolo ad uno sviluppo realmente competitivo del
futuro mercato dell'accesso ai contenuti sulle piattaforme digitali. Rimando a
quanto scritto nella relazione su questo punto e passo subito al secondo nodo,
cioè il problema regolamentare connesso all'allocazione delle frequenze.
Sappiamo tutti che nel passato, soprattutto gli ultimi vent'anni, c'è stato una
specie di far west nell'allocazione delle frequenze, con una sorta di
accaparramento disordinato, non per scopi cattivi ma semplicemente perché non
si aveva chiaro il quadro (si parlava infatti di inesauribilità delle risorse).
Questo processo ha però portato ad un assetto caratterizzato
oggi da notevoli problemi di inefficienza dell'allocazione delle frequenze e
quindi ad una quasi necessità di sovrapposizioni e ridondanze. Ciò richiede
una riflessione approfondita ed, eventualmente, un intervento regolatore che
possa dare una più ordinata distribuzione delle frequenze, cosa che poi si
tradurrebbe anche in una maggiore efficienza del sistema. In ultima analisi,
volendo essere più chiari, la televisione si potrebbe vedere anche meglio se ci
fosse una distribuzione più razionale delle frequenze.
Per quanto riguarda la golden share, le privatizzazioni possono
incrementare l'efficienza delle imprese nella misura in cui la loro esposizione
al rischio di scalata permette alle forze di mercato di esercitare un controllo
sulla performance dell'impresa e sull'operato del management.
Talvolta, quando vengono lasciati ingiustificati poteri all'azionista di
minoranza pubblico, i meccanismi di mercato non sono in grado di operare
pienamente.
È questo, ad esempio, il caso dei cosiddetti poteri speciali nella golden
share di cui alla legge n. 474 del 1994, poi modificata successivamente e,
da ultimo, della legge n. 350 del 2003, cioè la legge finanziaria 2004.
Sappiamo che in una serie di pronunce adottate dalla Corte di giustizia delle
Comunità europee l'Italia, ma non solo (eravamo in buona compagnia) è stata «condannata»
per via dei regimi nazionali che riservano al Governo determinate prerogative di
intervento sulla struttura azionaria, sulla gestione delle imprese privatizzate
appartenenti a settori importanti, strategici dell'economia. Al fine di adeguare
la normativa interna alle decisioni della Corte, la legge finanziaria per il
2004 ha introdotto novità importanti per quanto riguarda la disciplina della golden
share, conformando così la normativa italiana in materia ai principi
comunitari.
L'autorità naturalmente, non può che giudicare positivamente queste previsioni
che circoscrivono le condizioni che giustificano le restrizioni connesse alla golden
share e quindi la discrezionalità del Governo in ordine all'attivazione dei
poteri speciali.
L'opposizione, a differenza del potere di gradimento che si configura come
un'autorizzazione preventiva, realizza un intervento ex post, per
definizione più rispettoso dell'autonomia decisionale degli investitori.
In secondo luogo, il potere di opposizione risulta limitato nel tempo, potendo
essere attivato entro termini rigorosi e molto ristretti. Infine, gli interventi
del Ministro, che possono aver luogo solo in caso di concreto pregiudizio agli
interessi vitali dello Stato, devono essere motivati e possono essere sottoposti
a controllo giurisdizionale. Insomma si è seguito fedelmente quel fascio di
indicatori e parametri di legittimità che la Corte di giustizia aveva indicato
in particolare nella controversia con il regno del Belgio.
Passiamo ora alla nuova disciplina sulla vendita delle partecipazioni dello
Stato e degli enti pubblici. Quanto alle modalità di dismissione delle
partecipazioni azionarie pubbliche, la novità riguarda il passaggio da un
sistema focalizzato prevalentemente sull'offerta pubblica di vendita ad uno
basato su procedure trasparenti, non discriminatorie, finalizzate anche alla
diffusione dell'azionariato tra il pubblico dei risparmiatori e degli
investitori istituzionali.
Tale previsione modifica l'articolo l, della legge n. 474 del 1994, che aveva
manifestato una certa preferenza per il modello della public company,
disponendo che la vendita delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici
avvenisse di norma mediante offerta pubblica di vendita.
Con le modifiche introdotte dalla legge finanziaria 2004, l'impostazione
originaria viene in parte abbandonata. Saranno i principi di trasparenza e di
non discriminazione a delimitare d'ora in poi la discrezionalità del Governo.
Viene così ampliata opportunamente e resa più flessibile la gamma delle
tecniche a disposizione per la dismissione di imprese direttamente o
indirettamente controllate dallo Stato.
L'effetto atteso dal Governo con la modifica della disciplina è quello di
imprimere una maggiore accelerazione alle privatizzazioni sostanziali. Al
riguardo, è importante che, nella pratica, i principi di trasparenza e di non
discriminazione non restino mere enunciazioni di principio. Pertanto è
necessario che le ragioni di eventuali esclusioni siano motivate chiaramente, in
modo da poter valutare il loro carattere necessario e proporzionato.
Sui servizi pubblici locali in particolare si tratta di un capitolo più ampio
sul quale sarebbe forse opportuno aprire una riflessione più approfondita.
PRESIDENTE. Ringraziamo il professor Tesauro per la sua interessante
esposizione. Mi ricollego all'ultimo cenno sui servizi pubblici locali per
ricordare che il tema è trattato anche nell'ambito del Comitato permanente
sulla finanza territoriale; quindi, sicuramente, ci sarà un'ulteriore occasione
di incontro specificamente su questo tema. Passiamo agli interventi da parte dei
colleghi.
BENITO SAVO. Ad un certo punto del suo intervento il presidente Tesauro afferma che l'Autorità di regolazione, quali che siano i suoi poteri, risulta fortemente vincolata dall'asimmetria informativa rispetto al soggetto regolato, potrebbe essere più esplicito al riguardo?
LAURA PENNACCHI. Una relazione così interessante avrebbe richiesto una pausa
di riflessione, tuttavia, trovandomi costretta ad interloquire immediatamente
come le circostanze ci impongono, sfrutterò comunque la preziosità
dell'occasione porgendo al presidente Tesauro alcune brevi domande. I dati e le
riflessioni che ci sono stati offerti sono talmente ricchi che dovremmo creare
le condizioni per una ulteriore audizione, non solo su elementi specifici
riguardanti i servizi di pubblica utilità, ma anche per portare avanti una
riflessione di tipo teorico sulle tante notazioni che il presidente ha offerto
nel corso del suo intervento.
Il professor Tesauro ci ha fatto notare come non ci sia coincidenza tra
privatizzazioni e liberalizzazioni e come non sia affatto pacifico che procedere
soltanto attraverso privatizzazioni porti ad un incremento dell'efficienza
complessiva, soprattutto per il fatto che queste, da sole, non impediscono che
ad un monopolio pubblico si sostituisca un monopolio, o un oligopolio, privato.
Sono anche molto interessanti le notazioni sulla opportunità di superare
l'ottica, nettamente prevalente date anche le circostanze, di privatizzare per
fare cassa, segnalando la necessità di valutare con molta più sottigliezza i
contributi forniti dalle più recenti teorie economiche in merito alle
asimmetrie informative, alla riproposizione di questioni di selezione avversa e
di rischio morale. Le più recenti riflessioni ci segnalano come sia preferibile
mantenere una proprietà pubblica in alcune fasi delle filiere e come l'aspetto
decisivo per aumentare l'efficienza non risiede soltanto nella modifica
dell'assetto proprietario in quanto occorrono molti altri elementi di
regolazione.
La mia impressione è che tutto ciò ci riporta ad una riflessione sulla natura
dell'intervento pubblico moderno, che
dovrebbe prevedere spazi di attività di regolazione, denunziando, però allo
stesso tempo, l'insufficienza della retorica della governance.
Quando si operano privatizzazioni in forme poco meditate rispetto alla
complessità delle problematiche che il professor Tesauro ci suggerisce di
tenere presente, corriamo il rischio di trovarci di fronte ad un decisionismo
politico che porti poi ad una sorta di «statalismo privatistico» assolutamente
da evitare. Il caso della Cassa depositi e prestiti mi sembra esemplare da
questo punto di vista.
Una sottolineatura che non posso esimermi dal fare riguarda le comunicazioni.
Dovremmo prendere atto del peso della constatazione che l'integrazione tra
infrastrutture e impianti di frequenze è una peculiarità del settore italiano
che potrebbe risultare fattore di ostacolo ad uno sviluppo realmente competitivo
del futuro mercato dell'accesso ai contenuti sulle piattaforme digitali. Una
delle filiere più importanti per lo sviluppo futuro dell'Italia, che oggi
attraversa una fase molto difficile, come ci ha documentato il rapporto ISTAT di
ieri, per evolvere verso l'economia dell'informazione e l'economia della
conoscenza, appare bloccata sul fronte dello sviluppo economico. Ci troviamo,
quindi, in una situazione gravissima, non solo per l'assetto in sé di questo
settore, ma per le implicazioni ulteriori sul benessere e lo sviluppo economico
complessivo che ne possiamo ricavare.
Le ultime notazioni sulle nuove discipline dei cosiddetti poteri speciali mi
fanno venire in mente anche delle riflessioni che ci erano state fatte dal
presidente della Consob in merito alle modalità di dismissione delle quote
residue di Telecom ed ENEL. Il presidente Cardia ha definito tali modalità
atipiche, in quanto pongono problematiche di conflitto di interessi, di
trasparenza, di prezzi di vendita e di collocamento successivo. Forse esiste
una connessione tra queste modalità di dismissione e la disciplina di cui ci
dovremmo dotare.
PRESIDENTE. Non essendoci altri interventi, do la parola al presidente
Tesauro per le repliche.
GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e
del mercato. L'asimmetria a cui faceva riferimento prima l'onorevole Savo
riguarda soprattutto l'analisi e la trasparenza dei costi, perché l'Autorità
di Napoli, in quanto regolatrice, ha il compito di verificare la congruità
delle tariffe di accesso alla rete e di fissarle. Naturalmente il punto di
partenza per fissare una tariffa in modo da non penalizzare un operatore è
quella del costo.
Molto spesso il costo non lo conosce neppure il soggetto regolatore. Le dirò di
più: qualche volta non lo conosce - o solo approssimativamente - lo stesso
operatore! Da ciò possono nascere, per usare un eufemismo, degli «equivoci».
Comunque, si tratta di una realtà riguardante tutte quelle situazioni in cui si
ha a che fare con un'infrastruttura o una rete, dove un operatore è
proprietario di tale rete ed altri devono passare attraverso l'accesso a quella
rete (quindi attraverso l'operatore incumbent) al fine di operare.
È un po' il discorso dei cordoni della borsa: l'operatore incumbent può
restringere o allargare i cordoni dell'accesso alla rete. Questo è un fenomeno
che è diventato un po' il leitmotiv di tutte le public utilities
in questa vicenda. Il tema delle privatizzazioni, infatti, tocca molto da vicino
il campo delle public utilities (quindi, il settore dove esiste questo
fenomeno e anche questa possibile patologia). Noi ce ne accorgiamo quando, nei
nostri interventi ex post, qualche volta ci capita di dover andare a
controllare la congruità delle tariffe
di accesso. Ci scontriamo allora proprio con questa patologia, la quale
costituisce spesso un inconveniente notevole, che può anche produrre dei danni,
soprattutto a livello dei consumatori. Infatti, alla fine, tutto questo discorso
si ripercuote sui consumatori e costoro non sono solo i privati cittadini, le
famiglie, di cui tanto si parla ma principalmente le imprese: queste ultime
hanno i maggiori pregiudizi (lo stesso vale anche per la bolletta elettrica o
del gas). Si pensi che, in media, per un'impresa italiana c'è un 20 per cento
in più rispetto all'omologo tedesco o francese: è una patologia tutta
italiana!
BENITO SAVO. La ringrazio per la sua replica e soprattutto per i giudizi
positivi espressi sulle finanziarie che abbiamo prodotto, dove abbiamo cercato
di rimediare a più di un problema.
GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'autorità garante della concorrenza e
del mercato. Per quanto riguarda le riflessioni svolte dall'onorevole
Pennacchi, sono d'accordo. Vorrei aggiungere che, dal punto di vista di
un'autorità di tutela della concorrenza non esiste una dicotomia pubblico-
privato: noi siamo assolutamente neutrali rispetto al pubblico e al privato.
Questa è una sottolineatura che desidero fare sia alla luce dei principi
generali di tutela della concorrenza, sia dal punto di vista della derivazione
di questa materia e disciplina dal contesto comunitario.
Quello dell'assoluta neutralità tra pubblico e privato è infatti un principio
sancito dal Trattato. Naturalmente, in alcuni paesi, questi neutralità si
traduce in fatti, essendo effettivamente possibile che rimanga una tale
neutralità tra pubblico e privato. Ci sono, invece, altri paesi dove, qualche
volta, è necessario che il processo di liberalizzazione sia accompagnato anche
da un processo di privatizzazione. Dal
punto di vista teorico questo non sarebbe neppure necessario poiché a noi
interessa la liberalizzazione del mercato. La privatizzazione è un fatto
ulteriore che, in qualche caso, si è rivelato necessario (in particolare, in
alcuni settori).
Per quanto riguarda la possibilità di questo nuovo modello focalizzato e
incentrato sulla Cassa depositi e prestiti, bisognerà vedere come sarà il
reale ed effettivo funzionamento di questo meccanismo che ha coinvolto -
coinvolge - anche le fondazioni e, quindi, un mondo assai variegato ed
articolato. Può essere una soluzione interessante, ma bisogna vedere come verrà
fatto funzionare questo meccanismo.
Per quanto riguarda le telecomunicazioni, in particolare nei media, la
preoccupazione dell'autorità antitrust è, ancora una volta, che si riproduca
o, addirittura, si consolidi nel settore ciò che già vediamo per il settore
delle telecomunicazioni o dell'energia elettrica, cioè che uno o più operatori
(nel caso dei media ce ne sono due, ma la situazione cambia poco) siano
verticalmente integrati in tutta la filiera, trovandoli sempre presente nel
passaggio della rete, dei contenuti, fino al passaggio della pubblicità (che
poi, evidentemente, è il luogo dove finiscono tutte le ambizioni umane).
Un tale filiera verticale può produrre quell'effetto potenzialmente negativo -
non è detto che sia tale ma potenzialmente lo è - dato dalla titolarità e
dalla gestione dei cordoni della borsa rispetto agli altri soggetti potenziali
concorrenti. Da questo punto di vista, la titolarità della rete, cioè degli
impianti e delle frequenze (nell'era digitale si chiameranno multiplex)
è un po' temperata, giustamente, perché la legge ha disciplinato questo
settore, prevedendo che il 40 per cento della capacità trasmissiva sia messa a
disposizione degli operatori di contenuti.
Questo fatto può essere il volano per uno scenario competitivo e di pluralismo.
Ancora c'è - lo vediamo attualmente - il consolidarsi del potere di mercato dei
due operatori tradizionalmente dominanti, tuttavia, vi è anche la possibilità
che, nella fase della cessione dei contenuti, se certamente i due operatori
principali continueranno ad avere i cordoni della borsa, la legge imponga loro
di allargarli per il 40 per cento agli operatori di contenuti. Questo fatto apre
un po' il cuore alla speranza.
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Tesauro per la sua interessante
esposizione, salutando altresì i collaboratori che lo hanno accompagnato, la
dottoressa Ciccone, il professor Grillo, il dottor Alatri e la dottoressa
Creatini. La vostra testimonianza arricchisce la nostra indagine e quelle che
seguiranno. Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.50.