La Repubblica - DOMENICA, 30 APRILE 2006 |
Pagina 55 - Economia |
Le decisioni dellŽItu a Ginevra. Il consigliere Rai Rognoni: grave un danno per le reti statali, ministero inerte |
Tv digitale, la disfatta dellŽItalia |
In arrivo solo 739 frequenze, meno della metà di quelle richieste 1295 |
ALDO FONTANAROSA |
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ROMA - A Ginevra, ben
chiuso in cassaforte, cŽè il "libro mastro" delle frequenze.
Questo superelenco comprende tutte le frequenze televisive che lŽItu
(agenzia delle Nazioni Unite) ha assegnato ai vari Paesi. Sono frequenze
tradizionali, analogiche. Da quando nel 1961 è stato creato, questo
libro mastro ha funzionato da vigile urbano. Ha evitato cioè che la tv
svizzera disturbasse quella italiana; che i ripetitori italiani
interferissero con quelli austriaci o greci; o quelli del Nord Africa
con le stazioni italiane e francesi. Ora lŽItu si prepara ad assegnare
alle varie Nazioni un nuovo tipo di frequenze, molto preziose, per il
digitale terrestre, la tv del futuro. «E lŽItalia - assicura il
consigliere di amministrazione della Rai Carlo Rognoni - sta per finire
in serie B. In particolare la tv di Stato rischia che il suo patrimonio
di frequenze venga colpito, deprezzato; e che seri problemi tecnici si
registrino, di qui a qualche anno, nella emissione del segnale». Dalla relazione che Rognoni sta preparando per il consiglio Rai, risulta che la Germania ha chiesto allŽItu 1309 frequenze digitali e che abbia ricevuto la promessa di ottenerne 1295, praticamente tutte. Il nostro ministero, invece, ha chiesto 1806 frequenze digitali; ma lŽItu ce ne assegnerebbe 739. LŽItalia, insomma, potrebbe avere meno di 750 frequenze digitali di quelle con il "bollino blu", di quelle nobilitate dal riconoscimento internazionale dellŽItu. Ora, è vero: i tempi sono cambiati. Le vecchie frequenze analogiche (quelle del 1961) trasportano meno canali tv, per questo bisognava averne tante. In Italia le emittenti pubbliche e private, nazionali e locali, tuttora ne occupano 19 mila 136. Viceversa le frequenze digitali trasportano più canali. Per questo un Paese può anche averne di meno. «Ma 739 - nota Rognoni - sono un numero bassissimo, risibile. E noi della Rai siamo ormai allŽallarme rosso». Spiega ancora Carlo Rognoni: «Intanto il nostro ministero ha chiesto allŽItu lŽassegnazione e il riconoscimento di singole, specifiche frequenze digitali. Si tratta di frequenze e ripetitori che hanno un nome, un cognome e un proprietario: Mediaset, Telecom, Tarak ben Ammar, Rai. Confidiamo che nessun gruppo privato sia stato favorito e che gli interessi del servizio pubblico siano stati ben tutelati. Soprattutto ci auguriamo che il governo dimissionario sia riuscito in extremis a premere sullŽItu per ottenere più frequenze delle 739 che vogliono concederci. Ma nutro seri dubbi sullŽefficacia della sua azione diplomatica». Che cosa può succedere, ora? «La Rai rischia di ritrovarsi con un numero modesto di frequenze digitali di serie A, di quelle che lŽItu riserva a un solo Paese e vieta a tutti gli altri. UnŽazienda come la nostra, che oggi ha 5.734 frequenze tradizionali, potrebbe ritrovarsi con un pugno di frequenze digitali. A quel punto saremo costretti ad avviare estenuanti trattative con le emittenti delle altre Nazioni per poter usare altre frequenze digitali che lŽItu non ci abbia esplicitamente attribuito. Sarà un lavoro ingrato, faticoso, che condurremo da una posizione di debolezza politica. E i problemi tecnici per lŽemissione del segnale saranno seri». |